Nel primo pomeriggio di venerdì un piccolo presidio con interventi al megafono e volantinaggio si è svolto davanti alla filiale Unicredit di piazza Walther, a pochi passi da quella di Deutsche Bank in via della Rena, per indicare le responsabilità dei due istituti nel commercio di armi e in particolare nell’aggressione turca contro la guerriglia e le comunità curde. Entrambe sono ai primi posti tra le banche coinvolte nell’esportazione di armi dall’Italia (armi delle quali la Turchia è il terzo acquirente), insieme a Intesa San Paolo, BNL-BNP Paribas e Banca Popolare di Sondrio (tutte presenti con filiali a Bolzano). Più in particolare, entrambe sono coinvolte finanziariamente, insieme ad altre, nella produzione delle armi e dei veicoli da combattimento italiani (Leonardo-Finmeccanica) e tedeschi (come quelli della Rheinmetall, presente anche in Italia) usati da Erdogan contro i curdi. Unicredit, inoltre, è pesantemente coinvolta, con prestiti a società locali e attraverso la partecipata Yapi Kredi – uno dei principali istituti di credito turchi -, nel business legato alla privatizzazione di miniere e centrali a carbone, con tutte le conseguenze del caso su salute e ambiente. A proposito di complicità italiane, giova ricordare la presenza in Turchia, all’interno di una missione NATO di supporto alla difesa aerea turca “per difendere la popolazione dalla minaccia di eventuali lanci di missili dalla Siria“, di una batteria missilistica dell’esercito italiano. Riportiamo di seguito il testo del volantino distribuito a Trento nel corso di un’altra iniziativa contro Unicredit:
Erdogan massacra, Unicredit lo finanzia
Quello che l’esercito turco sta facendo in questi giorni in Siria è noto a tutti. Siamo di fronte a una spietata aggressione militare contro la guerriglia e le comunità curde, ad assassinî mirati, al progetto esplicito di deportare in Siria decine di migliaia di profughi fuggiti dalla guerra e, contemporaneamente, ad un ulteriore scatenamento del maglio repressivo contro il dissenso interno alla Turchia. All’imprigionamento di migliaia di oppositori politici, di insegnanti e di altri lavoratori, si aggiunge l’arresto persino di giornalisti che hanno osato criticare l’intervento militare in Siria. Il riferimento al fascismo storico è tutt’altro che retorico. Nei villaggi e sulle montagne del Kurdistan si stanno attuando stragi e rappresaglie del tutto simili a quelle realizzate dai nazifascisti nell’autunno del 1944 a Marzabotto, a S. Martino, a Caprara e sul Monte Sole, quando, assieme ai partigiani, furono fucilati in pochi giorni 700 paesani “colpevoli” di non denunciare all’occupante le attività della Resistenza. Donne, uomini e bambini: tutti “terroristi” agli occhi del Reich e dei fascisti, proprio come lo sono oggi contadini, guerriglieri, dissidenti agli occhi della “Grande Turchia”. Ma non ci uniremo al coro di chi chiede alle democrazie di intervenire contro il “dittatore Erdogan”. Dietro la mano assassina del “Sultano” c’è il grande capitale occidentale. Lo Stato turco è membro influente della Nato: alleanze e “tradimenti” sono funzionali alla spartizione delle risorse energetiche e alla creazione di zone di influenza economica. Le armi che uccidono in Siria sono state vendute dagli industriali di mezzo mondo (per i produttori di armamenti italiani, lo Stato turco è il terzo acquirente). L’attacco che Erdogan conduce contro l’organizzazione dei lavoratori attira gli investitori stranieri (per parlare dei padroni di casa nostra, basta pensare a Marangoni). La devastazione ambientale provocata dalle miniere di carbone è finanziata in Occidente. Per non parlare dei dieci miliardi di euro che la democratica Unione Europea ha fornito ad Erdogan per fermare e, se del caso, ammazzare migliaia di immigrati in fuga. L’esternalizzazione in Turchia della frontiera europea ha trovato tutti d’accordo, destra e sinistra, sovranisti e liberali. […] Per questo siamo qui oggi. Perché il sangue che scorre in Siria parte anche da questi uffici lindi e ordinati. Tra l’altro, domani comincia a Trento il processo contro sette nostri compagni, “terroristi” per lo Stato italiano come lo sono i curdi per quello turco. Ebbene, una delle azioni di cui alcuni di loro sono accusati è di aver sabotato un bancomat di Unicredit in solidarietà con la resistenza curda. Una piccola azione, certo, ma precisa, concreta, giusta. Contro il terrorismo degli Stati e del capitale. Un’azione che ricorda, proprio mentre i governanti versano lacrime di coccodrillo per i morti in Siria, il valore dell’internazionalismo tra gli sfruttati di tutto il mondo, unica via di uscita dal baratro verso cui ci stanno portando. Solidarietà con Sasha, Nico, Rupert, Agnese, Stecco, Poza e Giulio.