Nell’ultima settimana Bolzano ha visto tre diverse manifestazioni in solidarietà con le proteste in corso negli Usa contro gli omicidi razzisti di cui le forze dell’ordine stanno continuando a rendersi responsabili. Già sabato scorso, a un presidio chiamato in piazza Stazione dall’assemblea antifascista cittadina, la partecipazione era stata superiore alle aspettative, soprattutto da parte di giovanissimi con tanta voglia di esprimersi e di diverse persone che il razzismo delle divise lo vivono ogni giorno sulla propria pelle nelle strade delle nostre città e che si sono unite. Tanto che, visto il numero e lo spirito dei presenti, la manifestazione si è conclusa in piazza Walther dopo un breve spostamento spontaneo e non autorizzato. Parole chiare di solidarietà con la rivolta e di rivendicazione dello spirito anche e soprattutto delle forme più radicali nelle quali si è espressa e contro lo stato e la sua polizia che anche in Italia e a Bolzano ogni giorno mettono in atto retate razziste, gestiscono lager e deportano.
Lunedì mattina in piazza Walther la seconda manifestazione, promossa da Papadam Diop – il delegato sindacale dell’Iveco mezzi militari spinto dai media come esempio vivente di immigrato integrato, riconoscente e collaborativo, che ha lanciato in città il “plogging”, cioè raccogliere rifiuti da terra correndo – e spinta dai giornali, con l’adesione dell’Anpi, la presenza di vari politicanti e richieste al governo (!) di prendere posizione sugli eventi statunitensi. Anche in questo caso, comunque, una presenza inusuale per Bolzano di studenti e immigrati al di fuori dei giri della politica istituzionale e dell’associazionismo.
Studenti che, per allargare la partecipazione, decidono di organizzare per il sabato pomeriggio successivo un’altra manifestazione, sempre in piazza Walther. In effetti la partecipazione è ancor più ampia – diverse centinaia di persone, in maggioranza giovanissimi e molti immigrati. Un gruppetto di compagne e compagni è presente con uno striscione, il volantino del sabato precedente – del quale riportiamo qui sotto alcuni passaggi – e un paio di interventi. La manifestazione è comprensibilmente “imbrigliata” e mediatizzata, e non manca il presenzialismo di Anpi e compagnia – compresi esponenti del PD, partito che al pari se non più della destra ha contribuito a costruire e gestire la macchina del razzismo di stato in Italia, le politiche criminali in materia di immigrazione, il sistema di selezione di “meritevoli” da sfruttare e indesiderati da rinchiudere nei lager ora chiamati CPR e deportare. Le richieste al governo lasciano però spazio a discorsi più spontanei e diretti e anche a una certa rabbia, pur nella genericità dei messaggi. Già nella chiamata si poteva leggere – e non era scontato – che “lo scopo è sì prendere spunto e motivazione dagli ultimi fatti di cronaca statunitense, ma anche e soprattutto quello di riflettere sui problemi e le discriminazioni che vigono ancora in Italia”.
Quello che manca, per il momento, è l’idea di pensare a come contrastare concretamente, al di là della presa di posizione simbolica, il razzismo di stato e polizia nelle strade e nei parchi delle nostre città, dove le retate si sono ulteriormente intensificate proprio negli ultimi mesi con la scusa dell’emergenza coronavirus. Le piazze di sabato scorso e dell’altro ieri hanno fatto però intanto balenare una sensibilità e una disponibilità più diffuse di quel che si potrebbe pessimisticamente pensare.
(Nel frattempo, una delle notti precedenti, qualcuno ha imbrattato la colonna dietro il monumento alla Vittoria e le targhe delle vie vicine che celebrano la conquista italiana dell’Etiopia: come le immagini che arrivano da varie città americane ed europee insegnano, i concorsi di idee per depotenziare le celebrazioni del colonialismo si possono fare anche in maniera “autogestita” e con scarsi mezzi… la colonna è stata poi pulita ieri dai fascisti di CasaPound, per i quali celebra “un colonialismo sano”.)
ABBIAMO “SCOPERTO” L’AMERICA! Il razzismo uccide, e lo fa anche qui.
Con il cuore rivolto alle proteste negli USA – Contro la violenza di stato e polizia – Togliamo il respiro al razzismo
Gli Stati Uniti stanno bruciando di rabbia. […] Dopo la morte di George Floyd, le proteste hanno invaso le strade portando con sé messaggi chiari e inequivocabili contro il razzismo strutturale e istituzionalizzato, contro la violenza dello stato e della polizia.
Rivolte e manifestazioni che si stanno diffondendo anche in altri Paesi, a testimonianza di come “tutto il mondo è paese”, se si tratta di violenza strutturale.
Non sono tardati i messaggi di solidarietà ed appoggio alle proteste oltreoceano anche dall’italia. Ma sì può davvero parlare di solidarietà senza fare i conti con il razzismo, la violenza dello stato, delle istituzioni e della polizia che storicamente e quotidianamente opprimono le minoranze e gli Ultimi nel nostro Paese? […]
Dobbiamo abbattere con coraggio e determinazione il mito di “italiani brava gente” e fare i conti con il nostro passato (e presente) coloniale, con il “nostro” ruolo nelle guerre, nelle devastazioni e nei saccheggi delle terre. Le morti, le aggressioni a sfondo razziale, le discriminazioni continuano a fare parte della nostra cultura, avvallate e sostenute dal silenzio complice di chi non vuol vedere. Ricordiamoci di Sacko Soumayla, Becky Moses, Sheik Traoré, Idy Diene, Emmanuel Chidi Nnadi, delle aggressioni e degli attentati ai centri di accoglienza come quelli a noi vicini di Appiano, Vandoies, Lavarone, Soraga e Roncone.
Il nostro, come tutti gli apparati statali capitalisti, è intrinsecamente violento e razzista, oppressivo e liberticida.
Lo stato di emergenza in Italia decretato a causa del Covid-19 è stato il perfetto “campo di battaglia” per l’esercizio della violenza e della coercezione dello Stato; se gli ingranaggi dell’economia, in parte, non hanno mai smesso di funzionare, le libertà personali sono state drasticamente limitate, e come al solito, tra le classi più colpite, le maggiori discriminazioni sono state nei confronti delle minoranze. Durante l’emergenza sono continuati gli sgomberi dei migranti, sono continuate le deportazioni nei lager di stato (CPR) e le violenze nelle carceri ma si sono soprattutto intensificati i controlli di polizia su base razziale, gli abusi di potere e le retate in nome della sicurezza.
“Gli strumenti del padrone non demoliranno mai la casa del
padrone” (Audre Lorde, attivista femminista e lesbica afroamericana)
[…] Condividiamo la violenza liberatrice che sta invadendo le città statunitensi, le pratiche di azione diretta e di individuazione del nemico. Perché i nemici esistono e spesso hanno un nome, una forma e una casa. Difendersi dalla polizia, da un sistema, da uno stato e da una cultura violenta è giusto. Chi negli Stati Uniti ha deciso di scendere in strada, lo sta facendo a proprio rischio, costruendo una lotta senza partiti, senza istituzioni.
L’apparato repressivo non ha tardato ad arrivare, e oltre a causare morti, feriti e arresti, sta riciclando il “terrorismo” come scusa per intervenire violentemente per sedare la rabbia. Basti pensare che Trump ha dichiarato le reti antifasciste organizzazioni terroristiche.
Tutto questo, in parte, succede anche qui. Negli ultimi anni, in Italia, abbiamo assistito a innumerevoli operazioni di polizia, supportate dalla stampa e dai media, da tribunali e magistrati, mirate a distruggere e criminalizzare la solidarietà di chi, con determinazione, cerca di individuare e abbattere le radici delle contraddizioni del capitalismo […].
A istigarci continueranno ad essere le ingiustizie e i privilegi, la tracotanza dei servi dello Stato che invade le nostre vite, che invade le nostre strade. Più della repressione a farci paura è un mondo indotto all’indifferenza in cui chi si ribella viene isolatx.
Per quanto ci riguarda sappiamo solo che ribellarsi è giusto. E tanto basta: sappiamo da che parte stare.
Solidarietà e azione diretta, da qui agli Stati Uniti.
[…]
Alcunx antifascistx