È di qualche giorno fa la notizia della morte, nel CPR di Gradisca, di un altro recluso, un ragazzo albanese. Si tratta della seconda in pochi mesi, dopo quella di Vakhtang Enukidze in seguito al pestaggio subìto da parte degli sbirri lo scorso inverno, appena un mese dopo la riapertura del lager chiuso dalle rivolte del 2013. Un altro recluso è stato ritrovato incosciente. Come nel caso della morte di Vakhtang, i giornali hanno parlato inizialmente di rissa tra “ospiti”, e ai reclusi sarebbero stati sequestrati i cellulari. Successivamente il tiro è stato corretto parlando di abuso di psicofarmaci (ricordiamo che sono innumerevoli le testimonianze sull’ampio uso che di queste sostanze viene fatto per sedare e tenere sotto controllo i reclusi in questi lager), come per i 14 detenuti morti nel corso delle rivolte di marzo nelle carceri. Negli scorsi mesi nel CPR di Gradisca sono continuati pestaggi, atti di autolesionismo, scioperi della fame e tentativi di rivolta, mentre i positivi al coronavirus venivano tenuti in cella con gli altri. Ieri abbiamo appreso dai giornali – perché i familiari del ragazzo hanno dato mandato a un avvocato bolzanino di fare chiarezza sulla sua morte – che era stato deportato a Gradisca dall’Alto Adige:
Aveva una dimora di fortuna nella zona di Merano, non era riuscito a risolvere i suoi problemi di lavoro. Viveva comunque di lavoretti occasionali di poco conto e non avrebbe voluto lasciare l’Italia. Dieci giorni fa fece però l’errore che ha portato al dramma su cui ora sta indagano la magistratura. Il ragazzo ha infatti partecipato ad una festa di compleanno, si è ubriacato e successivamente non ha trovato di meglio che tentare di tornare verso casa con una bicicletta rubata. Qualcuno si è probabilmente accorto del furto e ha chiesto l’intervento in piena notte di una pattuglia dei carabinieri. I militi sono giunti sul posto, hanno bloccato lo straniero che – anche a seguito degli effetti dell’alcol – ha iniziato a dare in escandescenza, arrivando ad insultare anche i carabinieri. Di qui l’arresto con l’accusa di furto e resistenza a pubblico ufficiale. Terminati gli effetti della sbornia, il ragazzo si rese subito conto della gravità del suo comportamento. Vista la situazione, pensò bene di chiudere la disavventura giudiziaria con un patteggiamento ad un anno di reclusione con i benefici di legge. Nel corso del procedimento emerse proprio che il giovane era privo di permesso di soggiorno. Nonostante la sospensione condizionale della pena inflittagli per il furto, il ragazzo venne dunque trattenuto e trasferito al Centro di permanenza per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo in provincia di Gorizia.
Niente di nuovo. Una storia come molte altre, solo fortuitamente resa pubblica come quella del ragazzo inizialmente “accolto” a Bressanone suicidatosi lo scorso anno nel CPR di Brindisi. Una certezza: la responsabilità di ognuna di queste morti è dell’esistenza di queste strutture, e di chi contribuisce a tenerle in piedi. Ogni sezione aperta di questi luoghi infami rappresenta maggiori probabilità che la guerra contro chi non ha il pezzo di carta giusto in tasca che va in scena ogni giorno nelle strade delle nostre città porti a epiloghi simili.