Il testo che segue è la trascrizione di un intervento a due iniziative contro il lasciapassare dei giorni scorsi a Trento e Rovereto.
Alcuni indizi significativi dello scenario che si avvicina a grandi passi: il ministro Speranza ha parlato del green pass come della «più grande opera di digitalizzazione mai fatta». Fra i propositi usciti dal G20 di Roma, c’era quello di ridurre a 100 giorni i tempi di sviluppo dei “vaccini” per le «nuove pandemie»: si dà quindi per scontato che ce ne saranno, e giustamente, non avendo alcuna intenzione di mettere in discussione il sistema industriale che le produce (distruzione degli ecosistemi, commercio mondiale, vita in ambienti tutt’altro che salubri ecc.). E infatti, di fronte alla variante Omicron si annuncia l’arrivo di vaccini «aggiornati» a tempo di record. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, oltre a grandi opere che non lasciano certo intravedere ripensamenti rispetto alla follia sviluppista che ha condotto alla pandemia (come la circonvallazione ferroviaria di Trento legata al TAV del Brennero), gran parte delle risorse (anche di quelle dedicate alla sanità!) sono destinate alla digitalizzazione e alle infrastrutture di cui necessita, rete 5G in testa.
Al di là delle risatine di scherno normalmente riservate a chiunque la nomini, parliamo di un’infrastruttura – il 5G – che non solo solleva preoccupazioni tutt’altro che paranoiche per i suoi possibili effetti sulla salute umana e non – basti dire che gli stessi promotori ammettono candidamente che gli effetti si potranno conoscere con certezza solo a posteriori (il principio di precauzione è economicamente insostenibile, come per i cosiddetti vaccini: chi osa metterne in discussione sicurezza, efficacia, natura biotecnologica e senso è un sabotatore della ripresa economica, e come tale va trattato).
Il 5G, dicevamo, è, soprattutto, indispensabile per abilitare l’«industria 4.0», le smart city, i veicoli autonomi, l’internet delle cose: tutti gli oggetti che ci circondano (fino all’interno dei corpi stessi, ultimo terreno rimasto da colonizzare, con i sensori della telemedicina) devono essere connessi ed estrarre dati. Letteralmente l’intera realtà diventa un’infrastruttura concepita per registrare e analizzare ogni nostro comportamento, per dare al mercato la possibilità di anticiparlo con l’offerta giusta al momento giusto, ma in prospettiva per prevenire ogni decisione non guidata – e ogni possibilità di agire sulla realtà. Il mondo smart è un mondo dell’obbedienza. La gestione della pandemia ci ha già messo di fronte a un governo “algoritmico”: le decisioni sulla limitazione delle libertà vengono prese automaticamente sulla base dei dati, per definizione indiscutibili – chi li discute è un negazionista, un pazzo pericoloso, le cui assurde opinioni non possono certo trovare spazio in una «comunicazione di guerra» con «modalità meno democratiche» come quella invocata qualche giorno fa da Mario Monti.
Se inizia ormai a diffondersi qualche consapevolezza sulla realtà cinese del “credito sociale” – dove un ritardo nel pagare una rata o perché no un’amicizia sbagliata può comportare, automaticamente e in tempo reale, l’esclusione da un servizio – come modello di ciò che ci aspetta, la digitalizzazione serve ad equipaggiare una razionalità che è già all’opera da molti anni anche qui: si pensi al sistema di gestione dell’immigrazione per cui solo i più meritevoli possono sperare di essere selezionati per lo sfruttamento lavorativo, mentre per gli altri c’è la segregazione e l’espulsione; ma anche, tanto per fare un esempio locale, al regolamento ITEA che prevede una patente a punti per cui chi infrange il decoro può essere escluso dal diritto alla casa. Non è difficile immaginare la prossima applicazione di meccanismi del genere, automatizzati da strumenti come green pass e identità digitale, a tutte le prestazioni sociali rimaste. In Alto Adige nei giorni scorsi è stata annunciata l’esclusione dai contributi per l’affitto e dal reddito minimo di chi si trova senza lavoro perché non vaccinato. In futuro potrebbe non trattarsi più del vaccino ma di altri atti di obbedienza; nel frattempo, la macchina per imporli sarà già stata oliata.
Per chi invece il lavoro lo conserverà, le condizioni che il mondo smart ci prepara si possono intravedere nei capannelli di rider che devono rimanere a disposizione – gratis – in attesa che un’applicazione dica loro se e quando potranno lavorare, sulla base dell’analisi delle loro performance. O nei magazzini di Amazon: condizioni da protesi umane di un mondo-macchina. E questo mentre l’imperativo della ripresa economica giustificherà l’imposizione di nuovi sacrifici.
Nel campo della sanità, la “salute” diventa la manutenzione – possibilmente da remoto – di corpi-macchina da adattare a condizioni ambientali – e lavorative – sempre peggiori. Non si possono prendere in considerazione le cause sociali delle patologie, solo guidare i comportamenti individuali penalizzando chi non si conforma, fino ad escluderlo dall’assistenza sanitaria.
Se appena al di là della retorica si nasconde tutto l’impatto ecologico della transizione digitale (processi devastanti di estrazione dei metalli rari indispensabili per le tecnologie vendute come green, consumo energetico, rifiuti elettronici…), è facile prevedere come la gestione della pandemia anticipi l’approccio alla prossima emergenza climatica: un approccio che, lungi dal mettere in discussione le cause strutturali del degrado ambientale – il che equivarrebbe a mettere in discussione l’intero sistema economico, e cioè all’indicibile –, si annuncia essenzialmente tecnologico e intrinsecamente autoritario, sia perché direttamente coercitivo (scaricando le responsabilità sui singoli), sia perché accresce la dipendenza dall’apparato che causa i disastri e poi fornisce i presunti rimedi. Per dire, proprio in questi giorni nella capitale indiana si fronteggia con un lockdown l’inquinamento giunto a livelli insostenibili, mentre uno degli annunci che hanno riscosso più apprezzamenti in queste settimane di conferenze sul clima è stato quello di Macron della costruzione di nuove centrali nucleari.
Tornando al lasciapassare, a un mese e mezzo dalla sua imposizione in tutti i luoghi di lavoro, il rischio è che si normalizzi rapidamente – e che cominci a integrarsi negli altri sistemi di controllo: l’altro giorno il ministro Giovannini annunciava che per il trasporto pubblico locale «è allo studio il passaggio al biglietto elettronico che contenga le informazioni sul possesso del Green Pass». Abbiamo visto che nessuna Costituzione, nessun ricorso ha impedito la sua introduzione. Anzi: l’ennesima proroga dello stato d’emergenza ormai permanente è certa (quantomeno di fatto, al di là delle forme giuridiche), e siamo al divieto di manifestare per non disturbare lo shopping e al super green pass per soli vaccinati – e chi da mesi “provocatoriamente” chiede l’obbligo vaccinale ritenendo che “non possono metterlo se no si devono assumere la responsabilità dei danni” rischia di essere finalmente accontentato, mentre nuovi confinamenti – e l’estensione del lasciapassare al trasporto pubblico locale – potrebbero rendere più difficile incontrarsi e lottare. Anche chi si è sottoposto a due dosi pensando di lasciarsi il problema alle spalle si troverà di fronte prima del previsto il ricatto della terza, e gli esperti prospettano fuori dai denti anni di richiami periodici, di fatto obbligatori. Che ciascuno trovi i suoi modi, ma è a dir poco urgente dare corpo a una resistenza reale che provi a inceppare concretamente la nuova normalità.