Nel giro di pochi giorni, con l’arrivo delle prime dosi, il discorso pubblico sulla campagna vaccinale ha subìto un’accelerazione che ha portato sempre più politici e commentatori a prospettare e chiedere, chi per il personale sanitario, chi per tutti i dipendenti pubblici e chi per l’intera popolazione, l’obbligatorietà della vaccinazione. Di fronte ai dubbi sulla legittimità dell’imposizione del vaccino, tutti si sono affrettati a sottolineare l’eccezionalità della situazione, che imporrebbe alla libertà individuale di cedere il passo di fronte al ricatto della responsabilità nei confronti della collettività. E comunque, al di là dei dibattiti in punta di diritto, mettetevi il cuore in pace: “l’obbligatorietà sarà nelle cose” (tg di La7), “ci arriveremo in maniera indiretta” (Matteo Bassetti, infettivologo dei più noti). Il riferimento è al “passaporto sanitario” (cioè vaccinale) prospettato da compagnie aeree e istituzioni e del quale si parla non solo per i viaggi internazionali in aereo ma anche per poter accedere a cinema, teatri, eventi e chissà cos’altro. Per il viceministro della salute Sileri, il vaccino dovrà diventare obbligatorio “se uno su tre lo rifiuta”: una perfetta immagine della democrazia, in cui la libertà è inviolabile solo fintanto che è libertà di parola al vento e non si traduce in comportamenti concreti. Avvocati e giuslavoristi come Pietro Ichino (PD, ex PCI, nemico giurato di quel che resta dei diritti dei lavoratori in Italia e sotto scorta per questo) hanno assicurato che per il datore di lavoro è legittimo licenziare chi non si vaccina. L’escalation di pruriti autoritari ha coinciso infatti con la notizia di diversi procedimenti disciplinari avviati contro medici segnalati per aver espresso sui social opinioni non consone sulla pandemia e sul vaccino. Nei commenti giornalistici alla vicenda, “no vax” e “negazionisti” sono ormai spudoratamente utilizzati come sinonimi, a indicare chiunque esprima dubbi o difenda la libertà di scelta (del resto l’aggettivo negazionista ben si presta ad essere usato a mo’ di manganello, come nel caso di chi contrasta le mistificazioni sulle foibe e la storia del confine orientale). L’impressione è che il bersaglio dello stigma che si porta dietro il termine negazionisti, più che coloro i quali rifiutano di riconoscere che evidentemente il covid non è la solita influenza o leggono la pandemia attraverso le lenti di una qualche teoria cospirativa, sia chiunque neghi, fosse anche solamente facendo balenare dei dubbi, che il sistema sociale che ha generato la pandemia e che pretende di gestirla senza il minimo cambio di rotta ma anzi progredendo sia il migliore di quelli possibili. Si noti che, come volevasi dimostrare, sono in particolare i politici e i commentatori di sinistra a mostrare la propria indole sbirresca e progressista, nel senso peggiore che il termine possa avere.
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