Il testo che segue è la versione leggermente rivista di un volantino che avrebbe dovuto essere letto e distribuito ieri a Bolzano in occasione di un’iniziativa chiamata dall’assemblea antifascista con l’intento di attualizzare il significato del 25 aprile di fronte al clima soffocante e all’arroganza poliziesca da stato di pandemia, ma la provocazione di un paio di merde di CasaPound ha fatto prendere alla giornata una piega un po’ diversa dal previsto.
Oggi è il 25 aprile. Da domani la libertà di movimento sarà di fatto legata alla vaccinazione: chi avrà obbedito sarà libero di spostarsi fra le regioni, andare al bar, al museo, in piscina e in chissà quali altri luoghi verranno aggiunti all’elenco (magari si deciderà di autorizzare le manifestazioni solo a patto che i partecipanti siano tutti vaccinati… è così inverosimile?), gli altri dovranno farsi testare ogni due giorni – magari a pagamento – e dimostrarlo smartphone alla mano (un inciso, a proposito di 25 aprile e libertà di movimento: nei prossimi giorni il tribunale di Bolzano emetterà la sentenza per i compagni rei di aver partecipato alla manifestazione del 7 maggio 2016 al Brennero contro il muro anti-migranti, per i quali sono stati richiesti complessivamente oltre 300 anni di carcere. Nelle lotte contro le frontiere si è sempre giustamente sottolineato come la libertà di movimento “differenziata” e il doversela meritare prima o poi non avrebbero più riguardato solo i richiedenti asilo…). Siamo già arrivati a quell’obbligo di fatto che in fin dei conti era stato annunciato fuori dai denti sin dall’inizio della campagna militar-vaccinale. Nel frattempo, sulle migliaia di operatori sanitari ex eroi che hanno scelto di non farsi vaccinare pende la minaccia della sospensione senza stipendio (tenete duro! Se nessuno o solo pochi cedessero, chi vi sostituirebbe?) e pressioni di ogni tipo, come quelle che è probabile subiranno i lavoratori di molti altri settori quando arriverà il loro turno e la vaccinazione – formalmente volontaria, ma è già stato assicurato che è legittimo licenziare chi la rifiuta – avverrà magari direttamente in azienda.
Si usa il ricatto della responsabilità per imporre la sperimentazione di massa di vaccini che per stessa ammissione degli esperti non garantiscono di non contagiare gli altri, basati su tecnologie autorizzate in tutta fretta per la prima volta (RNA messaggero) o OGM permessi in deroga alle direttive europee (AstraZeneca), di cui non si conoscono durata nel tempo (è probabile che si debba ripetere la vaccinazione, come quella antinfluenzale) ed effetti a lungo termine, sulle cavie – cioè noi – e sul virus: è possibile che si producano varianti resistenti, più contagiose e/o pericolose. A quel punto quale sarebbe la soluzione, un ulteriore vaccino ancor più sperimentale? Varianti simili (o nuovi virus, com’è ampiamente previsto) potrebbero prodursi non solo direttamente a causa del vaccino, ma anche perché “grazie” alla campagna vaccinale non si sarà dovuta mettere in discussione l’organizzazione sociale che ha prodotto e favorito la pandemia e reso impossibile gestirla in modo ragionevole (devastazioni ambientali, circolazione eccessiva e troppo rapida di persone e merci da un capo all’altro del globo, impossibilità per l’economia di rallentare, la stessa conformazione fisica delle città…). «Se le condizioni di vita sono sempre più insalubri e patogene, si cambiano le condizioni di vita (a partire dal nostro rapporto con la natura)? No, si alza la soglia di tolleranza. E avanti tutta». Adattarsi a sopravvivere in condizioni sempre peggiori intervenendo sul vivente secondo le esigenze del sistema, mai viceversa, in un processo sempre meno reversibile. Questo ci sembra il punto, almeno per degli antiautoritari: la spirale di “soluzioni” tecnologiche ai disastri prodotti dalla civiltà tecnologica non solo produce sempre più velocemente nuovi disastri sempre meno gestibili e reversibili, ma rappresenta anche un’ipoteca politica: ci rende sempre più dipendenti da un livello di tecnologia che non è autogestibile. Con le biotecnologie in via di sdoganamento, non più solo un opinabile “benessere”, ma la nostra stessa esistenza bio(tecno)logica sarà vincolata alla sopravvivenza del sistema tecnico – e quindi dell’organizzazione sociale sulla quale si regge.
Sulla campagna vaccinale non si è levata quasi nessuna voce critica. Se dalla sinistra più o meno “radicale” non ci si poteva aspettare niente di diverso, anche in quel che un tempo si sarebbe chiamato “movimento” nel migliore dei casi ci si è semplicemente occupati d’altro, nel peggiore si chiedono a gran voce vaccini per tutti. Anche i sindacati di base che hanno preso posizione contro l’obbligo, come è stato notato, l’hanno fatto nel metodo e non nel merito, senza riconoscere alcuna dignità a contrarietà o dubbi sul vaccino in sé. Il tema è di una complessità tale che per i non esperti se si scende troppo nel tecnico c’è un certo rischio di dire cazzate? Molti no vax sono effettivamente deliranti ed è difficile discernere le fonti affidabili? Certo. Ma non ci sembra un buon motivo per lasciar perdere, anzi. Oltre ad essere grave e sconfortante di per sé, questo deserto della critica è di pessimo auspicio in vista del possibile svilupparsi delle lotte per la salvezza del pianeta e dei loro tentativi di recupero istituzional-tecnologici. Un esempio fra mille, ma che troviamo dovrebbe colpire molto: com’è noto i “successi” della civiltà tecnologica minacciano di sterminare le api, con conseguenze non proprio trascurabili per la sopravvivenza dell’umanità e delle altre specie. Ma la soluzione è già in cantiere: i droni impollinatori. Questo (oltre ad aggravare ulteriormente quelli che sono stati definiti i rovesci materiali del mondo digitale, legati alla produzione, al consumo energetico e allo smaltimento degli aggeggi) potenzialmente significa che senza droni non sarà letteralmente più possibile la vita sulla Terra. Dobbiamo aspettarci che gli “antagonisti” si oppongano in modo netto a queste follie finché siamo in tempo o che pretendano dalle istituzioni droni per tutti a prezzo politico?