La loro “sicurezza” è solo repressione
Contro il DDL 1660, per continuare a lottare
Il Parlamento italiano sta per approvare il Disegno di legge 1660, che se da una parte si inserisce in una lunga storia di “pacchetti sicurezza” introdotti da governi di ogni colore e giustificati con le ricorrenti “emergenze”, dall’altra rappresenterebbe un salto di qualità significativo nel restringere ulteriormente ogni spazio per l’opposizione sociale alle politiche statali e per lo stesso dissenso.
Il Governo è stato particolarmente esplicito nei suoi intenti, a partire dal fatto che la legge è firmata anche dal Ministro della guerra Crosetto, mentre quello dell’Interno Piantedosi rivendica apertamente la volontà di colpire i sindacati di base più combattivi: lo Stato intende preparare indisturbato la guerra mondiale – a difesa degli interessi delle classi dominanti occidentali – in cui ci sta trascinando insieme ai suoi alleati, stroncando preventivamente qualsiasi avvisaglia di conflitto sociale.
Per questo si prevedono decenni di carcere per chi protesta in modo “minaccioso” contro grandi opere e “infrastrutture strategiche” (civili e militari); per questo si aumentano le pene per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e per quello di blocco stradale o ferroviario – da sempre tra le principali armi delle lotte operaie e contro la guerra – e per chi “imbratta” edifici pubblici, e si estende il Daspo (divieto di avvicinamento) a stazioni e porti (con chiaro riferimento alle manifestazioni contro la logistica di guerra), arrivando fino a definire “terrorismo della parola” (!) e punire con pene fino a 6 anni la semplice detenzione di scritti interpretabili come “istruzioni” per atti di sabotaggio.
Se il carcere – e i lager per immigrati senza documenti – deve fungere da spauracchio per chiunque pensi di alzare la testa, anche qui ci si preoccupa di impedire qualsiasi protesta (come le molte scoppiate nei mesi scorsi contro condizioni insopportabili), criminalizzando con un nuovo reato e pene pesantissime anche la sola resistenza passiva agli ordini, considerata alla stregua di una “rivolta”, e colpendo anche chi porta solidarietà dall’esterno, considerata “istigazione”.
A questo si aggiungono misure come l’inasprimento delle pene per chi occupa case sfitte e per chi aiuta gli occupanti, la possibilità per i membri delle Forze dell’ordine di portare armi fuori servizio senza licenza e quella di non rinviare l’esecuzione della pena per le donne incinte o con figli minori di 1 anno, fino a prevedere l’obbligo di esibire un permesso di soggiorno per poter entrare in possesso di un cellulare.
Alla guerra “esterna” – che si allarga e si avvicina, travolgendo sia sul fronte ucraino che su quello mediorientale tutte le “linee rosse” che ci separano da un conflitto nucleare – corrisponde sempre quella “interna” contro il dissenso. Ne abbiamo avuto qualche assaggio anche nella nostra piccola città, con la pioggia di divieti, denunce e fogli di via da parte del Questore.
Per questo di fronte all’ennesima stretta repressiva è vitale mettersi di traverso, rilanciando le mobilitazioni, a partire da quella al fianco della resistenza palestinese contro il genocidio a Gaza e l’allargamento della guerra, così come contro le devastazioni ambientali, nei luoghi di lavoro, dentro e fuori dalle galere e dai CPR, estendendo proprio quelle forme di lotta che tanto spaventano lorsignori.
Non possiamo farci mettere all’angolo mentre ci apparecchiano un futuro di guerra.