Riportiamo qui sotto un passaggio della prima parte di Storie di Gap. Terrorismo urbano e resistenza di Santo Peli. Il libro sarà presentato – con l’autore – a Bolzano mercoledì 5 giugno dalle 20.00 alla Biblioteca Culture del Mondo in via Macello 50 (qui l’evento fb).
Creare l’atmosfera di guerra, significa in primo luogo impedire che venga accettato un modus vivendi che garantirebbe ai tedeschi un comodo sfruttamento delle risorse, e ai fascisti di accreditarsi come governo legittimo, invece che come un “alleato occupato” […] è dunque indispensabile che fascisti e tedeschi vengano percepiti come esercito occupante, che deve difendersi, vivere asserragliato, a Firenze, Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna. Creare l’atmosfera di guerra è il compito che il Partito comunista affida ai Gap, “gli arditi della guerra di liberazione, i soldati senza divisa, i più audaci, i più rapidi e pronti”, che devono “portare la guerra e la morte in casa del nemico”, attraverso azioni spettacolari, sabotaggi e attentati diretti contro esponenti di un certo rilievo delle milizie fasciste, sedi dei comandi tedeschi, ristoranti e bordelli frequentati dalle truppe di occupazione. Farlo senza suscitare reazioni terroristiche, fucilazione di ostaggi, di detenuti antifascisti, non è possibile. Accettare il ricatto della rappresaglia sui civili, come da subito sostengono tutti i dirigenti della guerra partigiana, significa rinunciare a combattere. Questa considerazione, del tutto condivisibile nella sua ovvietà, non esaurisce però la complessa questione del nesso fra attentati e rappresaglia […] per creare un clima di guerra, per costringerli a mostrare anche nelle città del Centronord il vero volto dell’occupazione, i tedeschi vanno attaccati, subito e duramente, e la rappresaglia è un elemento dolorosamente utile, che serve a bruciare gli spazi di mediazione, i tentennamenti. […] L’urgenza della missione […] è tale che [Carlo Camesasca “Barbisún”, elemento di punta del gappismo milanese] e il suo compagno decidono di entrare in azione benché, in quel momento, le uniche due pistole di cui dispongono siano in riparazione. L’uccisione di due ufficiali tedeschi che passeggiano per piazza Argentina, il 3 novembre 1943, viene portata a termine a colpi di martello e di lima. […] le azioni […] sono fatte, ancor prima che per uno scopo militare, per impressionare, per convincere i titubanti e gli indifferenti che si può e si deve combattere, e per confortare e confermare i propositi dell’esigua minoranza degli abitanti delle città che intendono scendere in lotta. […] Dopo i primi attentati, che si abbattono del tutto inaspettati su uomini e sedi delle istituzioni fasciste e dei comandi tedeschi, cavalli di frisia, reticolati e garitte con sentinelle armate modificano il paesaggio dei centri storici, aggiungono un inusuale arredo urbano che lancia un esplicito messaggio: anche all’interno delle città è in corso una guerra. […] La creazione dei Gap rappresenta dunque, negli ultimi mesi del 1943, l’unico strumento immediatamente utilizzabile per mostrare che la resistenza armata è possibile, anzi è già dispiegata, ben prima che l’organizzazione e la diffusione delle bande partigiane si consolidi. […] Fra l’autunno del 1943 e i primi mesi del 1944, i mesi descritti da Ferruccio Parrri come quelli delle “tremende incertezze”, “la stagione del dubbio, perché non sapevamo se questa volta le radici della guerra per bande avrebbero attechito”, le azioni gappiste svolgono una decisiva funzione di propaganda: sono i loro attacchi a fornire l’esempio che il dominio nazifascista sulle città non è affatto incontrastato.