In vista dell’assemblea pubblica a Bolzano sul decreto sicurezza di domani e della manifestazione a Bolzano contro razzismo di stato e repressione di sabato 8 giugno, riportiamo di seguito una versione leggermente più ampia del testo sul decreto sicurezza uscito sul numero 1 di Bergteufel, seguita da una prima analisi della bozza di “decreto sicurezza bis”, che per le misure che contiene ci sembra significativa in termini di tendenza anche al di là del fatto che venga approvata o meno e in quale forma.
Nel frattempo, la conversione in legge del decreto sicurezza ha sostanzialmente mantenuto le misure contenute nel decreto-legge; le modifiche più significative riguardano i respingimenti alla frontiera (per chi dopo il respingimento rientra nel territorio italiano senza una speciale autorizzazione è ora prevista la reclusione da uno a cinque anni con arresto obbligatorio anche non in flagranza e processo per direttissima), l’ulteriore ampliamento dell’ambito di applicazione del cosiddetto Daspo urbano e delle sanzioni previste per la sua violazione, l’introduzione del reato di esercizio molesto dell’accattonaggio (oltre che di misure contro i parcheggiatori abusivi), lo stanziamento di fondi per il potenziamento delle strutture penitenziarie e per l’installazione di sistemi di videosorveglianza nelle città, l’ulteriore inasprimento delle pene per l’invasione di terreni o edifici e l’esclusione dell’eseguibilità della misura cautelare degli arresti domiciliari presso immobili occupati.
Il decreto sicurezza e il suo mondo
Un nuovo giro di vite repressivo nei confronti di esclusi e marginali di qualsiasi provenienza e di chiunque decida di opporsi in modo più o meno organizzato al continuo peggioramento delle proprie condizioni di vita, che fornisce alle autorità strumenti per reprimere ancora più duramente di quanto fatto dai governi precedenti lotte come quelle portate avanti negli ultimi anni dai lavoratori della logistica o come le occupazioni abitative (lotte che oltretutto spesso vedono come protagonisti proprio proletari stranieri, colpiti direttamente anche dalle misure del decreto relative all’immigrazione).
L’intento del decreto sicurezza del governo Salvini-5stelle è evidente se si guarda a misure come la reintroduzione del reato di blocco stradale, che prevede pene fino a 12 anni se commesso da più persone, e l’aumento delle pene per l’invasione di terreni o edifici – fino a 4 anni per i promotori e organizzatori se è compiuta da più di 5 persone –, reato contro il quale è ora possibile inoltre fare ricorso alle intercettazioni: azioni tipiche di qualunque lotta sociale non puramente simbolica.
Appena al di sotto della mobilitazione dall’alto contro il nemico immaginario di turno, la realtà è che le condizioni materiali di vita di una quota sempre maggiore di popolazione, già insopportabili, continueranno a peggiorare. Lo stato si deve attrezzare contro l’eventualità che qualcuno alzi la testa. Questa necessità si salda con quella più immediata di “ripulire” le città da qualsiasi presenza incompatibile con il progetto di città vetrina “riqualificata” dallo speculatore di turno.
Ecco, allora, l’estensione del Daspo – l’allontanamento coatto da determinate zone urbane sperimentato sugli ultras ed esteso da Minniti – agli indiziati per reati di terrorismo e altri reati contro lo stato e ad aree come fiere, mercati, pubblici spettacoli e ospedali, e la possibilità per le polizie locali di accedere alle banche dati delle forze dell’ordine e di sperimentare il famigerato taser nelle città con più di 100mila abitanti.
L’intento di colpire soprattutto chi compie piccoli reati contro la proprietà privata e il “decoro” e chi non subisce a testa bassa la miseria delle proprie condizioni e le angherie delle autorità emerge anche dalle misure contenute nella parte del decreto dedicata all’immigrazione: il diniego e la revoca dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria sono ora previsti, oltre che per ogni rientro nel paese di origine, in caso di condanna definitiva per reati molto più comuni rispetto al passato: violenza o minaccia a pubblico ufficiale (reato del quale è facilissimo essere accusati in occasione delle proteste che regolarmente scoppiano nei centri per migranti), furto aggravato, produzione, detenzione e spaccio di stupefacenti anche in forma base e non aggravata.
Basta invece un procedimento o una condanna anche non definitiva per gli stessi reati per un richiedente asilo perché la questura avvii una procedura accelerata per l’esame della richiesta d’asilo, con audizione immediata di fronte alla commissione territoriale e contestuale decisione, l’efficacia della quale non è sospesa dall’eventuale ricorso. A proposito di ricorso contro il diniego alla richiesta di protezione, dopo che il decreto Minniti era già intervenuto contro questa possibilità eliminando uno dei gradi di giudizio, con il decreto Salvini viene meno la possibilità del gratuito patrocinio in tutti i casi in cui il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Queste misure rientrano in una più generale volontà, ora che i respingimenti nei lager in accordo con gli aguzzini libici hanno ridotto sensibilmente gli sbarchi (risultato del quale il PD di Minniti ha sempre tenuto a rivendicare il merito), di accelerare sul processo di selezione dei “fortunati” giunti sul territorio italiano in vista della loro deportazione o messa a profitto.
Questa accelerazione dovrebbe avvenire attraverso un trasferimento di competenze dalle commissioni territoriali alle forze di polizia rispetto alla gestione delle domande e l’introduzione di automatismi che rendano la decisione sulla domanda sempre meno legata al racconto personale e sempre più ad elementi come la nazionalità o l’aver ricevuto denunce o condanne. Le procedure accelerate, destinate a chiunque presenti domanda di asilo alla frontiera o nelle zone di transito dopo aver tentato di eludere i controlli, e per le quali sono stati stanziati fondi per l’istituzione di commissioni direttamente nei luoghi di frontiera, non fanno che legittimare le pratiche di selezione alla frontiera già da tempo in atto attraverso la procedura europea hotspot. Le stesse procedure accelerate sono destinate anche a chi proviene da un paese d’origine considerato “sicuro” in base all’elenco la cui introduzione è prevista dallo stesso decreto sicurezza, che introduce anche il concetto di “zona sicura nel paese d’origine”. Inutile sottolineare la tendenziosità di tali definizioni.
Per quanto riguarda le forme di protezione, il decreto sicurezza abolisce la protezione umanitaria, che era concessa a coloro per cui esistevano seri motivi per evitarne il rimpatrio ma che non rientravano nelle rigide definizioni previste per la protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria): la sua relativa elasticità e il fatto che la maggior parte dei pochi – meno della metà dei richiedenti – la cui richiesta d’asilo non veniva rigettata beneficiassero proprio di questa forma di protezione la rendevano, nella propaganda leghista, una delle cause della presunta “invasione”. Al posto della protezione umanitaria, nuove forme di protezione con requisiti definiti più rigidamente e che prevedono perlopiù permessi di soggiorno più brevi e non convertibili in permessi per motivi di lavoro. Tra i nuovi tipi di permessi introdotti spicca quello per “atti di particolare valore civile”, definizione che oltre al salvataggio di persone in pericolo comprende tra l’altro la partecipazione “all’arresto di malfattori”. Nel complesso, a fronte dell’aumento delle tipologie di permessi, questa più precisa tipizzazione comporta un’ulteriore drastica riduzione del numero di persone che potranno accedere ad una qualche forma di protezione, e ancor più precarietà e ricattabilità per chi vi accede o spera di accedervi (precarietà e ricattabilità travestite da concessioni che un’altra misura del governo gialloverde, il cosiddetto reddito di cittadinanza, inizia ad estendere a poveri e disoccupati italiani, con l’obbligo del lavoro anche gratuito in cambio di un’elemosina).
Per quanto riguarda le strutture, il nuovo corso prevede un dirottamento degli investimenti da quelle di contenimento a quelle detentive ai fini dell’identificazione e della deportazione (hotspot, CPR). La durata massima del trattenimento nei lager rilanciati e rinominati CPR dal governo Gentiloni-Minniti da 90 viene riportata a 180 giorni. Gli hotspot, nati nel 2015 con lo scopo di identificare, catalogare e smistare i migranti appena sbarcati, sono trasformati in strutture detentive dove le persone potranno essere recluse per massimo un mese, legittimando una pratica già in atto. La nuova legge prevede inoltre la possibilità di utilizzo di spazi a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza (ad esempio all’interno di caserme, porti, aeroporti) a scopo detentivo, per massimo 48 ore, nel caso non ci siano posti disponibili nei CPR in vista di un’imminente deportazione. Anche in questo caso si dà copertura giuridica a pratiche già in uso (come si vede, l’opposizione legalitaria a certe pratiche viene rapidamente e facilmente scavalcata). Questa capillarizzazione dei luoghi detentivi sembra mirare anche ad eliminare alla base la possibilità di rivolte come quelle che negli anni passati hanno ottenuto la chiusura di gran parte dei lager italiani distruggendoli dall’interno.
Per la gestione dei pochi “salvati”, il decreto sicurezza privilegia i grossi centri (CAS e CARA): lontananza dai centri abitati, concentrazione del potere nelle mani delle prefetture, ingenti guadagni per gli enti gestori, regole ferree pena l’esclusione dall’accoglienza e con il ricatto della commissione che giudicherà anche in base ai report degli operatori (trasformati in pubblici ufficiali dal precedente governo), condizioni invivibili che negli anni hanno scatenato numerose rivolte. Tutto questo a danno della rete SPRAR, tassello del sistema di selezione, controllo e sfruttamento dei migranti all’interno del quale negli ultimi anni è stata sperimentata l’imposizione del lavoro gratuito in nome dell’integrazione, ora attaccato in quanto “fiore all’occhiello” della gestione “sinistra” dell’accoglienza: al suo interno saranno ammessi solo i titolari di protezione internazionale e di altre forme particolari di protezione, e non più i richiedenti asilo. A tutto questo si accompagna la riduzione della spesa pro capite per la gestione dell’accoglienza, che già non garantiva nemmeno i servizi essenziali. Con il nuovo “pacchetto accoglienza”, percorsi di inserimento lavorativo e corsi di lingua sono previsti solamente per i titolari di protezione internazionale, una percentuale assai bassa del totale di chi ha accesso al sistema dell’accoglienza.
Una delle questioni più dibattute è stata quella dell’iscrizione anagrafica: fino ad oggi diritto teorico ma difficilmente tradotto in pratica anche per i richiedenti asilo, con il decreto sicurezza non è più prevista in caso di permesso di soggiorno per richiesta d’asilo. In teoria questo non dovrebbe pregiudicare l’accesso ai servizi, in pratica è facilmente immaginabile il contrario. Questa misura introduce inoltre un’ennesima gerarchizzazione tra persone con più e meno diritti.
Gerarchizzazione, tra cittadini di serie A e di serie B, che risulta anche dalle misure relative alla cittadinanza acquisita per naturalizzazione o beneficio di legge (ovvero non per diritto di sangue): oltre ad aumentare il costo ed allungare le tempistiche per il rilascio, il decreto sicurezza prevede la revoca della cittadinanza (!) entro 3 anni dalla condanna definitiva per reati con finalità di terrorismo e di eversione, associazione sovversiva, banda armata, assistenza agli associati e sottrazione di beni o denaro sotto sequestro.
Ulteriori, significative misure contenute nel decreto sono lo stanziamento di somme per programmi di “rimpatrio volontario assistito” dei migranti presenti sul territorio italiano, l’obbligo di comunicare alle forze di polizia i dati di chi prende a noleggio un veicolo e l’estensione dell’uso del braccialetto elettronico ai casi di allontanamento dalla casa familiare per maltrattamenti o stalking, che arriva dallo stesso governo che con il ddl Pillon ha attaccato l’autodeterminazione e la possibilità di liberarsi da contesti violenti delle donne.
Di fronte a tutto questo, l’opposizione della sinistra più o meno istituzionale o movimentista si è risolta perlopiù in appelli ai sindaci “amici” e ad altre istituzioni affinché non applicassero (“disobbedissero”!) alcune delle previsioni del decreto, oltre che in proteste per la perdita di posti di lavoro nel settore dell’accoglienza e in preoccupazioni per possibili problemi di sicurezza generati dall’applicazione del decreto. Questo sembra indicativo sia della distanza incolmabile, a livello materiale, di classe, e a livello di punto di vista, tra chi promuove queste campagne e chi subisce sulla propria pelle misure come quelle previste dal decreto sicurezza, sia della totale non comprensione del fatto che inclusione ed esclusione, integrazione e razzismo, democrazia, sfruttamento e repressione non si sono mai esclusi a vicenda ma sono sempre stati facce della stessa medaglia: governi di diverso colore modulano diversamente, in base alle valutazioni del momento e agli interessi magari di settori diversi di classe dominante, politiche la cui impostazione di fondo resta sempre la stessa: la selezione di individui disciplinati e produttivi per il sistema e l’esclusione fino anche all’eliminazione fisica di chi non può essere considerato tale.
Opporsi sta a noi. Come? Magari tentando di costruire solidarietà concreta e complicità fra esclusi, per condizione e per scelta; magari tenendo presente che per quanto possa sembrare lontana e inattaccabile la macchina di cui il decreto sicurezza è espressione funziona grazie a uomini, mezzi e strutture che si trovano nelle nostre città, sotto il nostro naso. Non collaboriamo lasciandoli lavorare in pace.
Ancora un po’ più in là: la bozza di “decreto sicurezza bis”
Dopo pochi mesi dalla conversione in legge del decreto sicurezza, è già il momento di confrontarsi con il successivo giro di vite repressivo per quanto riguarda l’immigrazione e le lotte sociali. Come per il decreto sicurezza, anche nel caso di questa bozza di “decreto sicurezza bis” l’attenzione mediatica si è concentrata perlopiù sulle misure relative all’immigrazione – in questo caso al soccorso in mare –, più facilmente affrontabili in chiave umanitaria e quindi in fondo non problematica per il potere. Nel silenzio generale è passata invece la parte che introdurrebbe pene folli per chiunque si opponga, in qualunque modo, alle forze dell’ordine in piazza. Del resto l’intenzione che sta dietro queste misure – chiudere preventivamente qualsiasi spazio per lotte che non siano puramente simboliche – può ben essere condivisa dall’opposizione di centrosinistra. Ma andiamo con ordine.
Per quanto riguarda il soccorso in mare, viene previsto che il ministro dell’interno possa limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nelle acque territoriali “per motivi di ordine e sicurezza pubblica” o nel caso in cui queste violino le leggi vigenti in materia di immigrazione. In caso di violazione del divieto/limitazione, per il comandante, l’armatore e il proprietario della nave è prevista una sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 €, oltre alla confisca della nave, con immediato sequestro cautelare (inizialmente la bozza prevedeva una sanzione da 3.500 a 5.500 € “per ciascuno degli stranieri trasportati” e – per le navi battenti bandiera italiana – nei casi più gravi o reiterati la sospensione o la revoca della licenza). Oltre a queste misure, la parte relativa all’immigrazione contiene l’attribuzione alle procure distrettuali della competenza anche sulle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e lo stanziamento di 3 milioni di euro nei prossimi tre anni per operazioni sotto copertura effettuate sul territorio italiano da operatori di polizia di stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi, anche ai fini del contrasto del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Per quanto riguarda invece le misure relative alle manifestazioni di piazza, se rispetto alla prima versione della bozza è scomparso l’inasprimento delle pene per i promotori e per chi prende la parola nel corso di manifestazioni non autorizzate durante le quali si siano verificati danneggiamenti e per chi non obbedisce all’ordine di scioglimento di manifestazioni non autorizzate, rimangono invece altre misure altrettanto “interessanti”: inasprimento della pena per travisamento in occasione di manifestazioni (ora arresto da due a tre anni e ammenda da 2.000 a 6.000 €); reclusione da uno a tre anni per chiunque “per opporsi al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio […] utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva [!] ovvero materiali imbrattanti o inquinanti”; reclusione da uno a quattro anni per chiunque “lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere”. Inoltre, viene esclusa la non punibilità per particolare tenuità del fatto per i reati di violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, mentre per gli stessi reati il fatto di averli compiuti in occasione di manifestazioni è ora un’aggravante; viene inasprita la pena per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale (ora fino a tre anni e sei mesi di reclusione); viene previsto l’aumento della pena – reclusione da 8 a 15 anni – per il reato di devastazione e saccheggio quando questo è commesso nel corso di manifestazioni; viene inasprita la pena (ora da 1 a 5 anni di reclusione) per “chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni” (reato di danneggiamento).
Altre misure inserite nella bozza sono l’obbligo per le strutture ricettive di comunicare immediatamente anziché nelle 24 ore successive all’arrivo le generalità delle persone alloggiate in caso di soggiorni non superiori alle 24 ore; l’assunzione a tempo determinato di 800 unità di personale da adibire all’eliminazione dell’arretrato relativo all’esecuzione delle condanne; l’istituzione di un fondo per “premiare” i paesi che collaborano nel rimpatrio dei propri cittadini presenti irregolarmente in Italia (interessante notare che questa misura è stata inserita dopo che il leader dei 5 stelle Luigi Di Maio si è lamentato perché nella prima versione della bozza non c’era “nulla sui rimpatri”). Sull’onda degli scontri avvenuti a Roma prima della finale di Coppa Italia, sono state poi inserite, in fondo alla bozza di decreto, tutta una serie di misure che ampliano la possibilità per le autorità di vietare la partecipazione alle manifestazioni sportive (Daspo), le ipotesi di fermo degli indiziati di delitti legati a manifestazioni sportive, confermano la possibilità di arresto in “flagranza differita”, introducono l’aggravante ed escludono la non punibilità per particolare tenuità del fatto per delitti legati a manifestazioni sportive. Senza analizzare qui queste misure nel dettaglio, va fatto notare che quella degli ultras è, non da oggi, una di quelle categorie facilmente “mostrificabili” – perché indifendibili anche da parte dell’opinione pubblica “buonista” – sulle quali vengono sperimentati strumenti repressivi da estendere poi a chiunque (si veda a titolo di esempio la progressiva estensione dello strumento del Daspo).
Di fronte al continuo peggioramento delle condizioni di vita che si prepara per tutti, azzerare preventivamente qualsiasi possibilità che qualcuno alzi la testa sarà, al di là di questo nuovo decreto, l’obiettivo di questo e dei prossimi governi, di qualsiasi colore essi siano. Tenere aperti gli spazi per lotte incisive che vanno progressivamente chiudendosi sta a noi, ragioniamo sul come. Quel che è sicuro è che non sarà con una campagna sui social, e nemmeno con dei simpatici lenzuoli alle finestre.