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Riqualificazione

Questa mattina sono partiti i lavori di abbattimento dei platani secolari di fronte alla stazione sul lato di via Garibaldi, per fare spazio al migliaio (!) di posti macchina del WaltherPark, il centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko, mentre in Germania è in corso una campagna contro gli oltre 5000 licenziamenti previsti nella sua catena di grandi magazzini (giova rammentare che proprio sulla creazione di posti di lavoro, oltre che sull’emergenza degrado nella zona, si è giocata la martellante propaganda a favore del progetto in occasione della consultazione farsa del 2016…). Gli abbattimenti, come quelli già avvenuti in piena emergenza covid di tutti gli altri alberi in quel settore di parco, sono ad opera degli zelanti addetti della ditta bolzanina Arboteam (via Giotto 19), che stamani, di fronte alla resistenza di un gruppetto di giovani ambientalisti, di qualche compagno e di un paio di anziani signori – per fortuna senza la presenza di politicanti dei Verdi come nel caso del flashmob di ieri – hanno pensato bene, in attesa dell’arrivo degli sbirri, di arrangiarsi a spintoni e spingendo col camion rischiando di investire uno dei signori di cui sopra, condendo il tutto con gli immancabili inviti ad andare a lamentarsi “in comune, noi facciamo solo quello che ci dicono”.

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Su tre manifestazioni bolzanine contro il razzismo

Nell’ultima settimana Bolzano ha visto tre diverse manifestazioni in solidarietà con le proteste in corso negli Usa contro gli omicidi razzisti di cui le forze dell’ordine stanno continuando a rendersi responsabili. Già sabato scorso, a un presidio chiamato in piazza Stazione dall’assemblea antifascista cittadina, la partecipazione era stata superiore alle aspettative, soprattutto da parte di giovanissimi con tanta voglia di esprimersi e di diverse persone che il razzismo delle divise lo vivono ogni giorno sulla propria pelle nelle strade delle nostre città e che si sono unite. Tanto che, visto il numero e lo spirito dei presenti, la manifestazione si è conclusa in piazza Walther dopo un breve spostamento spontaneo e non autorizzato. Parole chiare di solidarietà con la rivolta e di rivendicazione dello spirito anche e soprattutto delle forme più radicali nelle quali si è espressa e contro lo stato e la sua polizia che anche in Italia e a Bolzano ogni giorno mettono in atto retate razziste, gestiscono lager e deportano.

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Due giorni – e più – di ordinaria arroganza poliziesca a Bolzano ai tempi dello stato di pandemia

Per il primo maggio una manciata di compagne e compagni bolzanini ha pensato di fare una biciclettata – tutti con mascherine e a debita distanza – per lasciare in alcuni luoghi significativi dei messaggi sul prevedibile intensificarsi dello sfruttamento con la scusa dell’emergenza. Passati – casualmente – dal luogo in cui erano appena terminate le celebrazioni ufficiali con sindaco, sindacati e Anpi e dove era presente un certo numero di sbirri in divisa e non, due macchine della Digos si mettono a seguire il gruppo in bici, prima a distanza, poi sempre più da vicino, filmando, fino all’intervento di una volante che sul tratto di ciclabile fra ponte Resia e ponte Palermo, con una manovra folle senza sirene ferma i compagni, mettendo in pericolo sia loro che gli altri ciclisti di passaggio. Nel giro di pochi secondi arrivano altre tre macchine di sbirri – che creano tra l’altro un bell’assembramento, alla faccia del distanziamento sociale. Decisamente nervosi, anche perché qualcuno non si trattiene dall’apostrofarli come meritano e dal ricordare loro la bella performance del giorno prima – quando hanno atterrato, caricato in macchina, portato in questura e denunciato per resistenza una persona rea di camminare con la mascherina abbassata -, chiedono i documenti e di mostrare il contenuto di zaini e cestini delle bici, con l’effetto ironico in foto. Minacce a chi filma – come nel caso del giorno prima – e inviti ad allontanarsi ai numerosi passanti, mentre qualcuno dei compagni prova a spiegare a chi si ferma incuriosito cosa sta succedendo, poi evidentemente i nostri eroi si considerano soddisfatti della giornata.

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Dentro e fuori

Questo pomeriggio una manciata di solidali si è materializzata – sempre con le dovute precauzioni – sotto le mura del carcere di Bolzano per portare un saluto e scambiare due chiacchiere sulla situazione all’interno – dopo che nei giorni scorsi è arrivata la prima notizia ufficiale della positività di un secondino –, riuscendo poi a dileguarsi prima dell’arrivo degli sbirri. Dalla viva voce dei detenuti si è potuta apprendere una realtà ben diversa da quella riportata dai giornali: le guardie positive sarebbero tre e non una, e il fatto che non siano state a contatto coi detenuti è, come prevedibile, una cazzata. Da dentro confermano che il tampone è stato fatto solo alle guardie; per il momento sembra che nessuno dei detenuti abbia sintomi. Raccontano inoltre che alle persone che stanno continuando a entrare anche per piccoli reati viene semplicemente misurata la febbre. D’altronde, per portare il virus all’interno evidentemente bastano e avanzano i secondini. In compenso ieri è stato annunciato l’avvio della sanificazione di alcuni locali del carcere considerati più a rischio ad opera di un nucleo specializzato di alpini del reggimento Julia di Merano.

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Rompere l’isolamento

Condividiamo il volantino che nelle fessure del coprifuoco sarà distribuito a Bolzano nei prossimi giorni, con l’invito a rompere l’isolamento condividendo la propria sofferenza e la propria rabbia in una situazione che per molti sta velocemente divenendo insostenibile. Nessuno può promettere nulla, ma rompere l’isolamento è l’inizio di una riscossa possibile. I riferimenti per scrivere sono l’indirizzo e-mail bolzanocontro@canaglie.org e la pagina facebook Bolzano Contro. Di seguito il testo.

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Silenzi e grida

Di riflessioni sulla gestione dell’epidemia di coronavirus – sul fatto che a dispetto della retorica ufficiale sia più che mai evidente che ci troviamo tutt’altro che tutti sulla stessa barca, sull’emergenza come esperimento di controllo sociale, sull’introduzione di misure in questo senso che come avvenuto per altre emergenze in passato ci rimarranno in eredità anche a emergenza conclusa, sulla possibilità che questa crisi nasconda opportunità per costruire solidarietà e di attacco – se ne possono e potranno leggere altrove molte, alcune delle quali sicuramente più solide e acute di quelle che potremmo proporre noi in questo momento. Qui ci interessa solo riportare alcuni fatti, apparentemente non collegati tra loro, accaduti in città nell’ultima settimana.

Mercoledì, già in piena emergenza coronavirus, polizia municipale e Seab hanno sgomberato i senzatetto che si erano accampati all’interno del deposito comunale di viale Trento – uno spiazzo recintato sotto il viadotto dell’autostrada e a ridosso della ferrovia. Secondo il Corriere dell’Alto Adige lo sgombero – recentemente richiesto dal consigliere fascista Caruso e che ha incassato il plauso di Andrea Bonazza di CasaPound – si è svolto non senza “proteste” e “tensioni”, comprensibilmente visto che, proprio nei giorni in cui si invita ossessivamente tutti a rimanere a casa, gli occupanti si sono visti distruggere quel poco di riparo che avevano arrangiato senza ovviamente che venisse loro proposta alcuna sistemazione alternativa. La vostra sicurezza è guerra ai poveri, recita una scritta comparsa su uno dei piloni dell’autostrada.

Nei giorni successivi, con la città già deserta e appena in tempo rispetto al blocco dei cantieri non urgenti, sono state abbattute le decine di alberi nella zona di parco Stazione interessata dai lavori per il WaltherPark, che nei prossimi mesi dovrebbero trasformare l’intera zona tra piazza Verdi e la stazione nel centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko. Del resto nel silenzio generale è trascorso anche tutto il periodo dall’approvazione del progetto – con l’inconsistente opposizione consumata nella consultazione popolare farsa del 2016, plebiscito sulla promessa di riqualificare la zona, cioè di eliminare i poveri che la vivono – ad oggi.

Martedì pomeriggio un gruppetto di compagni si è presentato sotto le mura del carcere di via Dante per portare un saluto solidale ai detenuti che come nel resto d’Italia come unica misura contro il contagio si sono visti bloccare i colloqui, mentre rimangono stipati in strutture sovraffollate e malsane con un’assistenza sanitaria pressoché inesistente e la probabilità che il virus venga portato dentro dai secondini. Qualche parola sulle decine di rivolte dei giorni precedenti e sui morti nelle altre carceri, sulla situazione dentro, poi, nell’andar via, i compagni sono fermati e identificati. Ieri (domenica) pomeriggio, in pieno coprifuoco, delirio di tricolori e inni di Mameli dalle finestre e chiamate alle forze dell’ordine per segnalare chi fa una passeggiata – mentre operai e trasportatori devono continuare a lavorare come prima anche in filiere di prodotti tutt’altro che di prima necessità – qualche compagno è riuscito – sempre con le dovute precauzioni – a tornare sotto le mura per un saluto e per condividere un po’ di rabbia. Nel giro di qualche minuto si è creato un bell’assembramento di sbirri, che stavolta hanno fermato e trattenuto per un po’ dei passanti che erano rimasti ad osservare.

Riportiamo di seguito un testo sulla necessità della solidarietà a e tra coloro per i quali la parola sicurezza suona solo come una minaccia anche in questi frangenti, circolato in questi giorni a Bolzano:

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“Ciò per cui ci scandalizziamo rivela sempre chi siamo”: sulle richieste di condanna per il 7 maggio 2016 al Brennero

Lo scorso venerdì, in un tribunale di Bolzano com’è ormai d’abitudine ridicolmente blindato, lo stato, nella persona del PM Andrea Sacchetti, ha chiesto oltre 300 anni complessivi di condanna per devastazione e saccheggio e altri reati per 63 compagni rei di aver partecipato alla manifestazione contro le frontiere del 7 maggio 2016 al Brennero. Le singole condanne arrivano fino a 10 anni (!), già ridotte di un terzo per via della scelta del rito abbreviato. La sentenza dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. Pubblichiamo di seguito il testo di un volantino scritto dopo le richieste di condanna e uscito in questi giorni a Bolzano, insieme ad alcune parti del testo di indizione di quella manifestazione e al comunicato uscito nei giorni immediatamente successivi, per ricordare le motivazioni e lo spirito di quella giornata. Per un’analisi più dettagliata di questo ennesimo attacco repressivo rimandiamo a questa intervista a un compagno su Radio Blackout.

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Presidio in solidarietà con i rivoltosi nei CPR e saluto al carcere di Bolzano – sabato 1 febbraio

NEI LAGER DELLA DEMOCRAZIA LO STATO CONTINUA A UCCIDERE. SOLIDARIETÀ AI RIVOLTOSI NEI CPR E A TUTTE LE DETENUTE E I DETENUTI

Mentre il centrosinistra che le ha create nel 1998 e rilanciate con Minniti ne riapre altre (e nello stesso tempo non ci risparmia i suoi fiumi di retorica intorno alla giornata della memoria), in tutta Italia le prigioni per senza documenti in attesa di deportazione sono scosse da rivolte che minacciano di provocarne la chiusura come già avvenuto in passato – non certo grazie alle campagne della società civile. A Torino, Roma, Bari, Caltanissetta, Palazzo San Gervasio (Potenza) nell’ultimo anno si sono susseguiti danneggiamenti e incendi che hanno reso inagibili intere sezioni, fughe tentate e fortunatamente in alcuni casi riuscite, atti di autolesionismo, scioperi della fame, episodi di resistenza alle deportazioni.

Nel CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) di Gradisca, riaperto da appena un mese dopo la chiusura nel 2013 in seguito alle rivolte durante una delle quali Abdel Majid El Kodra era morto mentre tentava la fuga – e dopo essere stato dotato di nuove recinzioni e telecamere per renderlo più sicuro (per i carcerieri, ovviamente) – Vakhtang Enukidze, un recluso georgiano, è morto alcuni giorni fa in seguito al pestaggio subìto a più riprese da parte delle forze dell’ordine, come testimoniato dai suoi compagni di reclusione. I giornali, ovviamente, hanno inizialmente parlato di una rissa tra detenuti come causa della morte, mentre diversi reclusi testimoni dei fatti sono stati rimpatriati in tutta fretta e i telefoni sequestrati come nel CPR di Torino per impedire, anche con nuovi pestaggi, la comunicazione con l’esterno.

Notizie di altre morti, per suicidio, mancanza di cure o cause da accertare, continuano a giungere dagli altri CPR e dalle carceri di tutta Italia. Nel 2019 i morti sono stati 93, di cui 53 suicidi.

Dopo Gradisca, in questi giorni ha aperto il CPR di Macomer (Nuoro), realizzato in un ex carcere, e prossima dovrebbe essere la riapertura di quello di Milano. Ogni CPR aperto è un ingranaggio in più per la macchina delle espulsioni, dai rastrellamenti – controlli straordinari – nelle strade e nei parchi delle città, alla deportazione, o, per i più fortunati, al ritorno alla clandestinità dopo una lunga detenzione senza nemmeno la soddisfazione di aver commesso un reato. Ogni sezione di questi lager resa inagibile dalle rivolte contribuisce ad inceppare questa macchina ed è ossigeno per chi è costretto a vivere con il suo fiato sul collo.

A Bolzano, per quelli – tra coloro che per vivere devono arrangiarsi – che non vengono «accompagnati» nei CPR di mezza Italia, l’orizzonte è quello del carcere di via Dante, che ricopre il medesimo ruolo di monito e deposito di reietti. La funzione di questi luoghi è sì la protezione della società: di una società che prevede l’imposizione di condizioni di vita sempre peggiori per tutti, e che ha bisogno di garantirsi di poterle imporre in pace, confinando chi non riesce o non vuole adattarvisi.

Mentre per la cittadinanza bolzanina il motivo di indignazione è la bruttezza della sua facciata, i detenuti di via Dante (che in gran parte si trovano lì per reati contro il patrimonio e legati agli stupefacenti) sono stretti tra le attuali condizioni insostenibili – sovraffollamento, spazi stretti e malsani – e la prospettiva – che al momento pare allontanarsi – di un nuovo carcere privatizzato e confinato in mezzo al nulla, dove il contatto con l’esterno sarebbe ancor più difficile e il controllo più facile. Un carcere “modello” come quello di Spini (TN) con la sua storia di soprusi e suicidi (ma anche la coraggiosa rivolta di un anno fa, per la quale nei prossimi mesi inizierà il processo contro i detenuti individuati come responsabili, oltre 80).

L’ennesimo assassinio di stato non può passare in un silenzio complice. Non possiamo lasciare i reclusi da soli nelle mani degli aguzzini di stato. Nessuna struttura detentiva “umana”, nessuna funzione rieducativa: di questi luoghi infami solo macerie fumanti.

Sabato 1 febbraio dalle 15.00 in piazza Stazione presidio in solidarietà con i rivoltosi nei CPR. Dalle 16.30 sotto le mura (lato Talvera) saluto solidale ai detenuti del carcere di Bolzano

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Vivaddio

Anche quest’anno, nel pomeriggio di oggi 28 dicembre – “giornata degli innocenti” per il mondo cristiano, in ricordo dell’episodio biblico della strage di Erode – si è svolta fuori dall’ospedale di Bolzano la lugubre preghiera “per la vita” (cioè contro la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo) promossa dal Bewegung für das Leben, associazione antiabortista con sede a Merano – che nel solo 2018 ha ricevuto contributi pubblici da provincia e comune per circa 30 mila euro – che regolarmente organizza simili schifezze davanti agli ospedali delle due città e che nelle scorse settimane aveva organizzato banchetti a Bolzano insieme a Pro Vita & Famiglia e Movimento Per la Vita. Dopo la messa che quest’anno si è svolta nella chiesa dei Tre santi, una trentina di fondamentalisti cattolici si è mossa in processione, con lumini e cartelli con immagini di feti, verso l’ospedale, dove come l’anno scorso ad attenderla c’era un gruppetto di nemiche e nemici del patriarcato con striscione, volantini e interventi al megafono. Vista l’accoglienza loro riservata l’anno scorso all’ospedale e in occasione della cerimonia conclusiva del Pro Life Tour quest’estate, stavolta hanno pensato bene di venire male accompagnati: diverse macchine di polizia e carabinieri a scortarli per tutto il percorso e Digos a volontà. Comunque, sbirri o no, crediamo possano star certi che qualche amante della libertà a disturbare le loro meschine iniziative ci sarà anche in futuro.

Vedere il nemico

Nel primo pomeriggio di venerdì un piccolo presidio con interventi al megafono e volantinaggio si è svolto davanti alla filiale Unicredit di piazza Walther, a pochi passi da quella di Deutsche Bank in via della Rena, per indicare le responsabilità dei due istituti nel commercio di armi e in particolare nell’aggressione turca contro la guerriglia e le comunità curde. Entrambe sono ai primi posti tra le banche coinvolte nell’esportazione di armi dall’Italia (armi delle quali la Turchia è il terzo acquirente), insieme a Intesa San Paolo, BNL-BNP Paribas e Banca Popolare di Sondrio (tutte presenti con filiali a Bolzano). Più in particolare, entrambe sono coinvolte finanziariamente, insieme ad altre, nella produzione delle armi e dei veicoli da combattimento italiani (Leonardo-Finmeccanica) e tedeschi (come quelli della Rheinmetall, presente anche in Italia) usati da Erdogan contro i curdi. Unicredit, inoltre, è pesantemente coinvolta, con prestiti a società locali e attraverso la partecipata Yapi Kredi – uno dei principali istituti di credito turchi -, nel business legato alla privatizzazione di miniere e centrali a carbone, con tutte le conseguenze del caso su salute e ambiente. A proposito di complicità italiane, giova ricordare la presenza in Turchia, all’interno di una missione NATO di supporto alla difesa aerea turca “per difendere la popolazione dalla minaccia di eventuali lanci di missili dalla Siria“, di una batteria missilistica dell’esercito italiano. Riportiamo di seguito il testo del volantino distribuito a Trento nel corso di un’altra iniziativa contro Unicredit:

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Tempo di infami

Dovendo stare a quanto riportano i giornali, un uomo di 67 anni è morto venerdì nell’ufficio del direttore del supermercato Poli di piazza Matteotti, dove era stato condotto insieme alla compagna per il furto, sembra, di due tubetti di dentifricio e di uno shampoo. L’uomo si sarebbe sentito male dopo l’arrivo degli sbirri chiamati dai responsabili del supermercato. Al di là della tristezza e della rabbia per una morte avvenuta in una situazione del genere – e nella quale, comunque possano essere effettivamente andate le cose, la decisione di fermare l’uomo e di chiamare la polizia sicuramente un ruolo ce l’ha avuto -, e al di là dell’assoluta giustezza di rubare alla grande distribuzione indipendentemente dall’indigenza o meno del ladruncolo e dal fatto che si tratti o meno di prodotti di prima necessità, la notizia non può non richiamare alla memoria la decisione di qualche mese fa proprio del gruppo Poli di premiare il personale che segnala un furto tra gli scaffali con 30 euro lordi in busta paga. D’altronde in tutti i settori ormai il modello di comportamento esemplare è quello del delatore. All’epoca la misura era stata criticata dai sindacati, ovviamente con argomentazioni altrettanto vomitevoli: il compito avrebbe messo a repentaglio l’incolumità dei lavoratori – dietro i furti nei supermercati ci sarebbero infatti non meglio specificate organizzazioni criminali – e avrebbe potuto essere svolto ben più efficacemente da “professionisti del settore”. Più d’uno avrà invece sicuramente dato per buono il piagnisteo di un gruppo della grande distribuzione in continua crescita che lamenta “consistenti perdite economiche” a causa dei furti dagli scaffali.

Saluto al carcere di Bolzano contro vecchie e nuove galere e in solidarietà con le lotte nei CPR – sabato 28 settembre

Decine di nuove telecamere, continue retate e sgomberi di senzatetto, sempre più sbirri e militari nelle strade, Daspo urbano e leggi securitarie e repressive: in città in cui il controllo si fa ogni giorno più asfissiante, per chi non riesce o non vuole adeguarsi alle condizioni imposte dallo stato e dal capitale gli spazi di libertà si fanno sempre più stretti, e quella del carcere e degli altri luoghi di detenzione una prospettiva con la quale doversi confrontare per molti.

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Pulizia. Anzi, decoro

Tutti entusiasti per l’iniziativa, organizzata da “COOLtour” (La Strada) e Centro Pace del comune (Caritas), che martedì ha visto studenti dell’artistico disegnare con lo street artist “Cibo” uno “strudel destrutturato” su alcune cabine elettriche, “liberandole” dalle “scritte d’odio” (come quelle nella foto?). Ci sarebbe più di qualcosa da dire sull’antifascismo ridotto a vigilanza del politicamente corretto, sulla sterilizzazione della società per pacificarla, sulla street art e sui baracconi “sociali” che ci stanno attorno come strumento a disposizione delle istituzioni e del capitale per normalizzare e valorizzare mentre si colpisce in modo spropositato chi sui muri si prende semplicemente la libertà di dire la sua. Ci limitiamo però a riportare alcune parti dell’articolo uscito sull’Alto Adige, un bel campionario di merda, in crescendo fino all’esplicita esortazione finale alla repressione. Ovviamente sappiamo bene che i virgolettati dell’Alto Adige, come quelli di tutti gli altri giornali, possono essere tutt’altro che fedeli alle parole e al pensiero degli intervistati. D’altra parte, nel momento in cui si decide di parlare coi giornalisti si decide anche di assumersi il rischio. Il contenuto dell’articolo ci sembra comunque significativo.

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Catchy Daspo

Il Daspo urbano approvato la scorsa settimana in consiglio comunale sarà applicato a partire da lunedì, annuncia il sindaco Caramaschi. Le zone interessate sono l’asse parco dei Cappuccini – piazza Verdi – stazione – via Renon, piazza Vittoria, passaggio Hikmet (parco tra viale Europa e via Visitazione), via Rasmo (Casanova) e tutti i mercati rionali. Così l’Alto Adige illustra i dettagli del provvedimento:

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Rischi del mestiere

Mercoledì pomeriggio, a quanto riporta l’Alto Adige, a Merano un controllore della Sasa ha preso due sberle da due adolescenti dopo aver chiesto a uno di loro di esibire il biglietto. Riportiamo un passo dell’articolo perché merita:

I due si scagliano sul dipendente della Sasa, che nella fattispecie è un pubblico ufficiale. Sono attimi concitati, le persone in attesa e quelle in transito strabuzzano gli occhi. Alcuni bambini che attendono il cono alla gelateria piangono dallo spavento. Involontari spettatori esterrefatti assistono all’episodio che si consuma sotto i loro occhi. Parte la chiamata per richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Di sicuro da parte dell’autista che ha assistito alla scena, ma anche di altre persone presenti pronte a reagire al bailamme. In un attimo sul posto piombano gli agenti della polizia locale. Vengono insultati dai giovani. Riportare la calma è complicato. I due ragazzi vengono condotti al comando e identificati. Il controllore, impallidito, nel “quarantotto” è quello che ha la peggio. Dieci giorni di prognosi per guarire dalle contusioni riportate. Il caso di mercoledì pomeriggio allunga la serie di aggressioni nei confronti di coloro che sono incaricati di far rispettare le regole di viaggio, prima di tutto verificando il possesso dei biglietti. La posizione dei due giovani autori dell’aggressione avrà strascichi giudiziari: per loro possono profilarsi varie denunce, dalla violenza o minaccia a un pubblico ufficiale al reato di interruzione del servizio pubblico.

Al di là di come possano realmente essersi svolti i fatti in questa e in altre occasioni, non possiamo fare a meno di pensare che il fatto che un controllore debba avere paura nello svolgere con zelo il suo lavoro di merda è sempre una buona notizia. Specialmente in tempi come questi.

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Un continuo

Mentre in consiglio comunale va in scena il teatrino sul Daspo urbano da calibrare in modo che non dispiaccia né all’opposizione di destra né ai Verdi, in città e nella realtà che la circonda il copione è sempre lo stesso. Così l’Alto Adige di ieri:

È un continuo a cui probabilmente ci si dovrà abituare, anche se per le forze dell’ordine è tutt’altro che un’operazione semplice da gestire, niente routine, perché non si sa mai chi ti trovi davanti, in che condizioni, come reagiranno all’intimazione di sgombero. Insomma, si rischia. Stiamo parlando degli sgomberi di accampamenti abusivi sotto ai ponti (e non solo), nella nostra città. Se ne sono effettuati tre pure ieri mattina: sgomberati ponte Langer, ponte Giallo al Talvera e ponte Roma. Sotto quest’ultimo si sono rinvenuti anche tre profughi richiedenti asilo. E non è finita: nelle prossime settimane verrà effettuata la bonifica di tutte le rive dell’Isarco nel tratto cittadino. Ieri mattina l’azione è stata congiunta. Non solo i vigili urbani e gli operai della Seab per lo sgombero fisico delle masserizie e dei rifiuti [cioè degli effetti personali degli sgomberati], ma a dare una mano sono stati anche gli agenti della questura, per identificare eventuali senzatetto e per tenere sotto controllo la situazione nel caso in cui gli animi si fossero dovuti surriscaldare.

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Occhi vigili

Qualche giorno fa la stampa locale riportava la notizia, peraltro già annunciata da qualche mese, della prossima installazione di 160 nuove telecamere in città. 30 di queste dovrebbero essere installate entro l’anno, e si tratta di quelle il cui acquisto, per la modica cifra di 450 mila euro, era già stato pubblicizzato qualche mese fa. Nel corso del 2020 dovrebbero arrivarne altre 130 (!), portando il totale a ben oltre 200 e rendendo Bolzano la città più controllata d’Italia, considerando superficie e popolazione. Altri fondi sono stati stanziati per il sistema di “stoccaggio” delle registrazioni. I luoghi nei quali installarle sarebbero stati scelti in parte in base alle valutazioni delle autorità e in parte in base alle richieste dei cittadini. Nel frattempo, 45 mila euro erano arrivati da Roma per installarne altre, “antispaccio”, vicino alle scuole, nell’ambito dell’operazione “Scuole sicure” di Salvini, suscitando la delusione del sindaco Caramaschi: “45 mila euro sono poca cosa. Noi abbiamo già speso un milione di euro per l’installazione di 120 telecamere”. La tendenza ovviamente è la stessa in tutta la provincia, compresi i centri più piccoli.

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