Il testo che segue è uno dei capitoli di un opuscolo di prossima pubblicazione. Proprio ieri, il Senato accademico dell’Università di Trento ha votato per mantenere, nonostante la contrarietà degli studenti e la mobilitazione contro le complicità con il genocidio a Gaza, un progetto di ricerca con Ibm Israel, sulla «resilienza dei sistemi di intelligenza artificiale contro gli attacchi alla sicurezza». La divisione israeliana della multinazionale è tra i fornitori delle tecnologie di controllo della popolazione palestinese. I motivi del voto di ieri sarebbero «sia di fattibilità che di volontà», in quanto «sono presenti diversi accordi con enti provenienti da Stati che partecipano a guerre o violazioni dei diritti umani» e «bloccarli bloccherebbe gran parte della ricerca universitaria».
Nell’ultimo anno e mezzo si è spesso parlato dello sterminio della popolazione di Gaza come del primo genocidio automatizzato della storia – e a ragion veduta, visti i sistemi di intelligenza artificiale impiegati dall’esercito israeliano per massimizzare gli effetti dei bombardamenti. Tuttavia, quest’espressione – genocidio automatizzato – si trovava già in un libro del 2001, pubblicato in Italia da Rizzoli, mai più ristampato e oggi pressoché introvabile: L’IBM e l’Olocausto. I rapporti fra il Terzo Reich e una grande azienda americana, del giornalista americano Edwin Black. Se la fornitura da parte dell’IBM di tecnologie che sono servite al regime nazista per censire le sue vittime e poi per organizzare la «soluzione finale» è un fatto relativamente noto, la lettura di questo documentatissimo volume restituisce un quadro a dir poco impressionante, soprattutto alla luce dei progressi che hanno fatto negli ultimi ottant’anni i mezzi tecnologici per rendere gli individui più efficientemente controllabili – e all’occorrenza uccidibili. Come scrive l’autore, «l’alba dell’era informatica coincise con il tramonto della dignità umana».
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