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La guerra comincia anche all’Iveco di Bolzano. Mercoledì 20 aprile presidio antimilitarista

[deutsch]

Dopo due anni di gestione militare della pandemia con annessa “comunicazione di guerra”, ci troviamo di fronte alla mobilitazione – per il momento morale ed economica – per l’ennesima guerra preparata dagli Stati e dall’industria per accaparrarsi risorse (a partire da quelle necessarie per la “transizione energetica e digitale” come i minerali rari) ed estendere la propria influenza, e presentata come difesa dei diritti umani e del diritto internazionale. Questa volta però il confronto rischia di essere direttamente fra potenze nucleari, mentre si annuncia una corsa al riarmo da sostenere con nuovi “sacrifici”.

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Der Krieg beginnt auch in der Iveco in Bozen. Antimilitaristische Initiative am 20. April

[italiano]

Nach zwei Jahren militaristischen Managements der Pandemie und der damit einhergehenden Kriegsrhetorik, steht uns die moralistische und wirtschaftliche Mobilisierung zu einem erneuten Krieg bevor, der von Staaten und Industrie zum Zwecke der Eroberung von Ressourcen (wie jenen seltenen Rohstoffen, die im energetischen und digitalen Wandel benötigt werden) und Ausdehnung ihrer Macht ausgetragen wird, und dabei als Verteidigung der Menschenrechte und des internatiomalen Rechts präsentiert wird. Es besteht das Risiko einer Konfrontation zwischen atomaren Kräften, während auf eine Aufrüstung und ein Apell an das Bringen neuer “Opfer” zugesteuert wird.

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Contro la guerra, contro la pace, contro lo Stato

Il testo che segue è la trascrizione, leggermente rivista, di un intervento a un’iniziativa antimilitarista a Bolzano, sabato 9 aprile (nell’immagine qui sopra, l’Iveco Defence Vehicles di Bolzano). Proprio mentre lo pubblichiamo, scopriamo che martedì il Senato ha approvato, praticamente all’unanimità, una proposta di legge che istituisce la “Giornta nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini”. La giornata sarà il 26 gennaio (il giorno prima della giornata della memoria della Shoah!), e il fine – riporta il testo della legge – è quello di “conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la Seconda guerra mondiale [quindi nell’aggressione nazifascista alla Russia], nonché di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale [!] nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano”. Pensiamo che si commenti da sé.

Non vogliamo cimentarci in analisi geopolitiche, che tra l’altro lasciano spesso un senso di impotenza, per quanto necessarie. Ci premeva invece ribadire un paio di quelle che dovrebbero essere delle ovvietà e condividere un paio di considerazioni sparse su aspetti che forse possono apparire un po’ “laterali” rispetto al conflitto in corso ma che ci sembrano importanti.

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“Non collaborativi” (a proposito del “lazo” in dotazione alla municipale bolzanina)

Nei giorni scorsi il consiglio comunale di Bolzano ha deciso di avviare, sulla scia di Genova, la sperimentazione da parte della polizia municipale del BolaWrap. Si tratta di un dispositivo prodotto e commercializzato da un’azienda americana, dotato di un puntatore laser di colore verde, che permette di sparare, alla velocità di circa 195 metri al secondo, un laccio in kevlar con ganci metallici alle estremità, che si attorciglia “attorno a parti del corpo che devono essere preferibilmente il tronco, le braccia o le gambe” di un soggetto, immobilizzandolo.

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Tagliare la strada al pilota automatico

Il testo che segue è la trascrizione di un intervento a due iniziative contro il lasciapassare dei giorni scorsi a Trento e Rovereto.

Alcuni indizi significativi dello scenario che si avvicina a grandi passi: il ministro Speranza ha parlato del green pass come della «più grande opera di digitalizzazione mai fatta». Fra i propositi usciti dal G20 di Roma, c’era quello di ridurre a 100 giorni i tempi di sviluppo dei “vaccini” per le «nuove pandemie»: si dà quindi per scontato che ce ne saranno, e giustamente, non avendo alcuna intenzione di mettere in discussione il sistema industriale che le produce (distruzione degli ecosistemi, commercio mondiale, vita in ambienti tutt’altro che salubri ecc.). E infatti, di fronte alla variante Omicron si annuncia l’arrivo di vaccini «aggiornati» a tempo di record. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, oltre a grandi opere che non lasciano certo intravedere ripensamenti rispetto alla follia sviluppista che ha condotto alla pandemia (come la circonvallazione ferroviaria di Trento legata al TAV del Brennero), gran parte delle risorse (anche di quelle dedicate alla sanità!) sono destinate alla digitalizzazione e alle infrastrutture di cui necessita, rete 5G in testa.

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Qui per restare. Sul green pass e il suo mondo

Il testo che segue è la trascrizione di un intervento tenuto domenica 3 ottobre a San Giorio di Susa (TO) nell’ambito di un’iniziativa contro il lasciapassare (vedi locandina). Funzionando come riassunto dei contenuti dell’opuscolo Il mondo a distanza e come rapida ricognizione del mondo di cui il green pass è espressione, abbiamo pensato che potesse essere di qualche utilità e quindi di pubblicarla.

Il green pass non rappresenta “solamente” un modo particolarmente infame per costringere a sottoporsi alla sperimentazione dei cosiddetti vaccini. Io mi concentrerò, a partire dai contenuti dell’opuscolo Il mondo a distanza, su questo lasciapassare come dispositivo tecnologico di controllo, sul mondo di cui è espressione e sugli scenari che apre. D’altronde il ministro Speranza ne ha parlato come della “più grande opera di digitalizzazione mai fatta”.

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Due giorni di discussioni contro la società della miseria tecnologica – 4 e 5 settembre al terreno no tav (TN)

“Ogni giorno che passa, tutto il baraccone dell’Emergenza Covid si rivela sempre più per quello che è: una manovra mostruosa e un atto di guerra all’umanità intera. Tra vaccinazioni biotecnologiche, tracciamento elettronico e militarizzazione montante, quella che ci viene apparecchiata è una vita da schiavi tecnicamente equipaggiata. Mentre in Italia e in sempre più Paesi del mondo montano le proteste, abbiamo deciso di organizzare due giornate di incontri e discussioni, in cui si parlerà dei cosiddetti vaccini, del ‘mondo a distanza’ 5G, del ‘modello Amazon’ nella ristrutturazione del lavoro, della riorganizzazione della scuola e dell’educazione secondo le nuove esigenze ipertecnologiche del capitale. Per affinare le idee e prendere la mira contro il mondo-macchina degli uomini-macchina, ma anche per riscoprire, difendere, contrapporgli una dimensione di incontro e socialità orgogliosamente umana.”

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Al pettine. Uno sfogo (contro il lasciapassare sanitario e l’obbligo vaccinale)

“Oggi attaccare il vaccino è attaccare lo Stato”
(Matteo Bassetti – infettivologo – a In onda su La7)

Ci scusiamo in anticipo se alcuni passaggi del testo che segue conterranno esagerazioni o inesattezze, ma scriviamo con addosso una tale rabbia, amarezza e sconforto che fatichiamo ad essere equilibrati. Precisiamo che nei passaggi in cui si parla dell’assenza di opposizione, si tratta anche e prima di tutto di un’autocritica, e che non c’è nessuna volontà di giudicare chi – senza sbandierarlo – fa la scelta di vaccinarsi, perché non si trova nelle condizioni di potersi permettere di resistere ai ricatti o magari per una legittima paura del virus.

Il lasciapassare sanitario è infine arrivato. Da venerdì prossimo non si potrà più entrare al bar, al ristorante, a teatro, al cinema e in tutta una serie di altri luoghi ed eventi senza dimostrare, smartphone alla mano, di essere cittadini responsabili, cioè obbedienti. Per le settimane successive è già prevista l’estensione ai mezzi di trasporto pubblico, mentre sempre più categorie sono minacciate di rimanere senza lavoro se non si adeguano. Se non è dittatura sanitaria questa, ci spiegassero cosa lo è.

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Solidarietà con gli imputati per il corteo contro le frontiere al Brennero. Venerdì 14 maggio presidio a Bolzano

Il 14 maggio verrà pronunciata la sentenza per 63 compagni accusati di devastazione e saccheggio per il corteo contro le frontiere al Brennero del 7 maggio 2016, per i quali l’accusa ha chiesto oltre 300 anni di carcere. Cinque anni dopo quella giornata, i motivi che ci hanno spinti a scendere in strada sono più validi che mai: alle frontiere della fortezza Europa si continua a morire (l’ultima strage, con 120 persone lasciate annegare nel Mediterraneo, è di poche settimane fa) e la condizione di clandestinizzazione che lo Stato riserva agli stranieri senza documenti è stata estesa all’intera società, con la militarizzazione e il controllo generalizzato dei nostri spostamenti giustificati con l’Emergenza Covid. Non solo: l’accusa di devastazione e saccheggio è l’arma con cui lo Stato sta rispondendo ai più forti momenti di lotta contro la gestione dell’emergenza: la rivolta nelle carceri a marzo e gli scontri contro l’imposizione del coprifuoco ad ottobre dello scorso anno.

Venerdì 14 maggio alle 18.00 presidio solidale a Bolzano, ai prati del Talvera altezza ponte Talvera

Contro la campagna vaccinale. Contro le soluzioni tecnologiche ai disastri della civiltà tecnologica

Il testo che segue è la versione leggermente rivista di un volantino che avrebbe dovuto essere letto e distribuito ieri a Bolzano in occasione di un’iniziativa chiamata dall’assemblea antifascista con l’intento di attualizzare il significato del 25 aprile di fronte al clima soffocante e all’arroganza poliziesca da stato di pandemia, ma la provocazione di un paio di merde di CasaPound ha fatto prendere alla giornata una piega un po’ diversa dal previsto.

Oggi è il 25 aprile. Da domani la libertà di movimento sarà di fatto legata alla vaccinazione: chi avrà obbedito sarà libero di spostarsi fra le regioni, andare al bar, al museo, in piscina e in chissà quali altri luoghi verranno aggiunti all’elenco (magari si deciderà di autorizzare le manifestazioni solo a patto che i partecipanti siano tutti vaccinati… è così inverosimile?), gli altri dovranno farsi testare ogni due giorni – magari a pagamento – e dimostrarlo smartphone alla mano (un inciso, a proposito di 25 aprile e libertà di movimento: nei prossimi giorni il tribunale di Bolzano emetterà la sentenza per i compagni rei di aver partecipato alla manifestazione del 7 maggio 2016 al Brennero contro il muro anti-migranti, per i quali sono stati richiesti complessivamente oltre 300 anni di carcere. Nelle lotte contro le frontiere si è sempre giustamente sottolineato come la libertà di movimento “differenziata” e il doversela meritare prima o poi non avrebbero più riguardato solo i richiedenti asilo…). Siamo già arrivati a quell’obbligo di fatto che in fin dei conti era stato annunciato fuori dai denti sin dall’inizio della campagna militar-vaccinale. Nel frattempo, sulle migliaia di operatori sanitari ex eroi che hanno scelto di non farsi vaccinare pende la minaccia della sospensione senza stipendio (tenete duro! Se nessuno o solo pochi cedessero, chi vi sostituirebbe?) e pressioni di ogni tipo, come quelle che è probabile subiranno i lavoratori di molti altri settori quando arriverà il loro turno e la vaccinazione – formalmente volontaria, ma è già stato assicurato che è legittimo licenziare chi la rifiuta – avverrà magari direttamente in azienda.

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Ambra è stata uccisa dal carcere. Sabato 10 aprile manifestazione e saluto solidale al carcere di Bolzano

Condividiamo la chiamata dell’assemblea bolzanina contro il carcere per questo sabato (10 aprile):

  • ore 15.00 prati del Talvera altezza ponte Talvera presidio in memoria di Ambra, perché di carcere non si debba più morire
  • ore 17.00 circa saluto solidale ai detenuti, sotto le mura del carcere di Bolzano (lato Talvera)

“Domenica 14 marzo nel carcere di Spini di Gardolo è morta una ragazza di Bolzano di appena 28 anni. Si chiamava Ambra Berti. Nel comunicare la sua morte ai famigliari le autorità carcerarie hanno parlato di ‘cause naturali’ nonostante la detenuta fosse stata portata da alcune ore in infermeria, quindi teoricamente sotto controllo del personale sanitario. Nessuno fino ad ora ha spiegato la morte di una donna giovane fisicamente sana, madre di due figli, senza problemi di salute. Di certo sappiamo come – a causa delle misure prese contro la pandemia – nell’ultimo anno le difficoltà e le sofferenze per le detenute ed i detenuti siano state amplificate dalla mancanza di contatto umano con i propri affetti. A ciò si aggiunge il rifiuto dei magistrati di sorveglianza di concedere ad Ambra, come a molti altri detenuti che avrebbero avuto i requisiti per accedervi, misure di pena alternative alla detenzione. Sappiamo anche come ogni morte in carcere sia una morte di carcere e come essa sia strutturale all’istituzione carceraria, dove l’abuso del consumo di psicofarmaci, i suicidi, così come i decessi per la mancanza di cure adeguate e controlli medici, sono all’ordine del giorno. La tragica morte di Ambra è stata del tutto ignorata dai media, complici nel tentativo di far passare in silenzio l’ennesima morte nel carcere di Spini. Rompiamo l’indifferenza. Non si può morire così. Pretendiamo di sapere ciò che è successo ad Ambra. Il silenzio della responsabile sanitaria del carcere di Spini di Gardolo è un silenzio complice e omertoso come quello della direttrice del carcere di Trento e Bolzano, che dopo l’ennesima morte di una persona sotto la sua responsabilità, non ha ancora trovato modo di lasciare alcuna dichiarazione pubblica sull’accaduto. Rompiamo l’isolamento in cui vorrebbero confinare detenuti e detenute.”

“Siamo persone, non algoritmi”

Ieri, nell’ambito di una mobilitazione nazionale e nel disinteresse pressoché generale a livello locale, anche a Bolzano alcune decine di rider, perlopiù della piattaforma Deliveroo, sono scesi in piazza per rivendicare condizioni di lavoro umane. In questo caso non si tratta di un modo di dire ma di un’espressione decisamente appropriata: infatti le piattaforme di delivery, alle forme “classiche” di sfruttamento e ricatto (cottimo, paghe da fame, assenza di tutele, precarietà, minacce a chi alza la testa) associano il controllo algoritmico dei lavoratori, governati e monitorati attraverso lo smartphone da un’applicazione – i criteri di funzionamento della quale non sono conoscibili – che decide automaticamente e in tempo reale, in base alle loro performance, alle recensioni – veritiere o no – dei clienti o magari al fatto che qualcuno osi rivendicare migliori condizioni, se, quando e quanto farli lavorare. Un lavoro data-driven, come dovrebbe essere l’intera società nella visione dei Mario Draghi, degli altri sacerdoti della transizione digitale e dei suoi fedeli.

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Opuscolo: Il mondo a distanza. Su pandemia, 5G, materialità rimossa del digitale e l’orizzonte di un controllo totalitario

Di seguito il testo dell’opuscolo, qui il file pdf stampabile (A5). Come si dice nella premessa, ci si propone semplicemente, attraverso alcune letture, esempi e considerazioni, di suggerire l’urgenza di prendere in mano il tema dell’impatto della tecnologia e in particolare delle tecnologie informatiche – rete 5G in testa – in termini di controllo, e di quel che si cela dietro la loro presunta immaterialità. Per richieste di copie cartacee, osservazioni o altro si può fare riferimento all’indirizzo email bergteufelbz@autistici.org. Il disegno in copertina è di acquadicarciofo.

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Siamo tutti negazionisti

Nel giro di pochi giorni, con l’arrivo delle prime dosi, il discorso pubblico sulla campagna vaccinale ha subìto un’accelerazione che ha portato sempre più politici e commentatori a prospettare e chiedere, chi per il personale sanitario, chi per tutti i dipendenti pubblici e chi per l’intera popolazione, l’obbligatorietà della vaccinazione. Di fronte ai dubbi sulla legittimità dell’imposizione del vaccino, tutti si sono affrettati a sottolineare l’eccezionalità della situazione, che imporrebbe alla libertà individuale di cedere il passo di fronte al ricatto della responsabilità nei confronti della collettività. E comunque, al di là dei dibattiti in punta di diritto, mettetevi il cuore in pace: “l’obbligatorietà sarà nelle cose” (tg di La7), “ci arriveremo in maniera indiretta” (Matteo Bassetti, infettivologo dei più noti). Il riferimento è al “passaporto sanitario” (cioè vaccinale) prospettato da compagnie aeree e istituzioni e del quale si parla non solo per i viaggi internazionali in aereo ma anche per poter accedere a cinema, teatri, eventi e chissà cos’altro. Per il viceministro della salute Sileri, il vaccino dovrà diventare obbligatorio “se uno su tre lo rifiuta”: una perfetta immagine della democrazia, in cui la libertà è inviolabile solo fintanto che è libertà di parola al vento e non si traduce in comportamenti concreti. Avvocati e giuslavoristi come Pietro Ichino (PD, ex PCI, nemico giurato di quel che resta dei diritti dei lavoratori in Italia e sotto scorta per questo) hanno assicurato che per il datore di lavoro è legittimo licenziare chi non si vaccina. L’escalation di pruriti autoritari ha coinciso infatti con la notizia di diversi procedimenti disciplinari avviati contro medici segnalati per aver espresso sui social opinioni non consone sulla pandemia e sul vaccino. Nei commenti giornalistici alla vicenda, “no vax” e “negazionisti” sono ormai spudoratamente utilizzati come sinonimi, a indicare chiunque esprima dubbi o difenda la libertà di scelta (del resto l’aggettivo negazionista ben si presta ad essere usato a mo’ di manganello, come nel caso di chi contrasta le mistificazioni sulle foibe e la storia del confine orientale). L’impressione è che il bersaglio dello stigma che si porta dietro il termine negazionisti, più che coloro i quali rifiutano di riconoscere che evidentemente il covid non è la solita influenza o leggono la pandemia attraverso le lenti di una qualche teoria cospirativa, sia chiunque neghi, fosse anche solamente facendo balenare dei dubbi, che il sistema sociale che ha generato la pandemia e che pretende di gestirla senza il minimo cambio di rotta ma anzi progredendo sia il migliore di quelli possibili. Si noti che, come volevasi dimostrare, sono in particolare i politici e i commentatori di sinistra a mostrare la propria indole sbirresca e progressista, nel senso peggiore che il termine possa avere.

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Assassini

È di qualche giorno fa la notizia della morte, nel CPR di Gradisca, di un altro recluso, un ragazzo albanese. Si tratta della seconda in pochi mesi, dopo quella di Vakhtang Enukidze in seguito al pestaggio subìto da parte degli sbirri lo scorso inverno, appena un mese dopo la riapertura del lager chiuso dalle rivolte del 2013. Un altro recluso è stato ritrovato incosciente. Come nel caso della morte di Vakhtang, i giornali hanno parlato inizialmente di rissa tra “ospiti”, e ai reclusi sarebbero stati sequestrati i cellulari. Successivamente il tiro è stato corretto parlando di abuso di psicofarmaci (ricordiamo che sono innumerevoli le testimonianze sull’ampio uso che di queste sostanze viene fatto per sedare e tenere sotto controllo i reclusi in questi lager), come per i 14 detenuti morti nel corso delle rivolte di marzo nelle carceri. Negli scorsi mesi nel CPR di Gradisca sono continuati pestaggi, atti di autolesionismo, scioperi della fame e tentativi di rivolta, mentre i positivi al coronavirus venivano tenuti in cella con gli altri. Ieri abbiamo appreso dai giornali – perché i familiari del ragazzo hanno dato mandato a un avvocato bolzanino di fare chiarezza sulla sua morte – che era stato deportato a Gradisca dall’Alto Adige:

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