“Ogni giorno che passa, tutto il baraccone dell’Emergenza Covid si rivela sempre più per quello che è: una manovra mostruosa e un atto di guerra all’umanità intera. Tra vaccinazioni biotecnologiche, tracciamento elettronico e militarizzazione montante, quella che ci viene apparecchiata è una vita da schiavi tecnicamente equipaggiata. Mentre in Italia e in sempre più Paesi del mondo montano le proteste, abbiamo deciso di organizzare due giornate di incontri e discussioni, in cui si parlerà dei cosiddetti vaccini, del ‘mondo a distanza’ 5G, del ‘modello Amazon’ nella ristrutturazione del lavoro, della riorganizzazione della scuola e dell’educazione secondo le nuove esigenze ipertecnologiche del capitale. Per affinare le idee e prendere la mira contro il mondo-macchina degli uomini-macchina, ma anche per riscoprire, difendere, contrapporgli una dimensione di incontro e socialità orgogliosamente umana.”
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Solidarietà con gli imputati per il corteo contro le frontiere al Brennero. Venerdì 14 maggio presidio a Bolzano
Il 14 maggio verrà pronunciata la sentenza per 63 compagni accusati di devastazione e saccheggio per il corteo contro le frontiere al Brennero del 7 maggio 2016, per i quali l’accusa ha chiesto oltre 300 anni di carcere. Cinque anni dopo quella giornata, i motivi che ci hanno spinti a scendere in strada sono più validi che mai: alle frontiere della fortezza Europa si continua a morire (l’ultima strage, con 120 persone lasciate annegare nel Mediterraneo, è di poche settimane fa) e la condizione di clandestinizzazione che lo Stato riserva agli stranieri senza documenti è stata estesa all’intera società, con la militarizzazione e il controllo generalizzato dei nostri spostamenti giustificati con l’Emergenza Covid. Non solo: l’accusa di devastazione e saccheggio è l’arma con cui lo Stato sta rispondendo ai più forti momenti di lotta contro la gestione dell’emergenza: la rivolta nelle carceri a marzo e gli scontri contro l’imposizione del coprifuoco ad ottobre dello scorso anno.
Venerdì 14 maggio alle 18.00 presidio solidale a Bolzano, ai prati del Talvera altezza ponte Talvera
Ambra è stata uccisa dal carcere. Sabato 10 aprile manifestazione e saluto solidale al carcere di Bolzano
Condividiamo la chiamata dell’assemblea bolzanina contro il carcere per questo sabato (10 aprile):
- ore 15.00 prati del Talvera altezza ponte Talvera presidio in memoria di Ambra, perché di carcere non si debba più morire
- ore 17.00 circa saluto solidale ai detenuti, sotto le mura del carcere di Bolzano (lato Talvera)
“Domenica 14 marzo nel carcere di Spini di Gardolo è morta una ragazza di Bolzano di appena 28 anni. Si chiamava Ambra Berti. Nel comunicare la sua morte ai famigliari le autorità carcerarie hanno parlato di ‘cause naturali’ nonostante la detenuta fosse stata portata da alcune ore in infermeria, quindi teoricamente sotto controllo del personale sanitario. Nessuno fino ad ora ha spiegato la morte di una donna giovane fisicamente sana, madre di due figli, senza problemi di salute. Di certo sappiamo come – a causa delle misure prese contro la pandemia – nell’ultimo anno le difficoltà e le sofferenze per le detenute ed i detenuti siano state amplificate dalla mancanza di contatto umano con i propri affetti. A ciò si aggiunge il rifiuto dei magistrati di sorveglianza di concedere ad Ambra, come a molti altri detenuti che avrebbero avuto i requisiti per accedervi, misure di pena alternative alla detenzione. Sappiamo anche come ogni morte in carcere sia una morte di carcere e come essa sia strutturale all’istituzione carceraria, dove l’abuso del consumo di psicofarmaci, i suicidi, così come i decessi per la mancanza di cure adeguate e controlli medici, sono all’ordine del giorno. La tragica morte di Ambra è stata del tutto ignorata dai media, complici nel tentativo di far passare in silenzio l’ennesima morte nel carcere di Spini. Rompiamo l’indifferenza. Non si può morire così. Pretendiamo di sapere ciò che è successo ad Ambra. Il silenzio della responsabile sanitaria del carcere di Spini di Gardolo è un silenzio complice e omertoso come quello della direttrice del carcere di Trento e Bolzano, che dopo l’ennesima morte di una persona sotto la sua responsabilità, non ha ancora trovato modo di lasciare alcuna dichiarazione pubblica sull’accaduto. Rompiamo l’isolamento in cui vorrebbero confinare detenuti e detenute.”
Presidio in solidarietà con i rivoltosi nei CPR e saluto al carcere di Bolzano – sabato 1 febbraio
NEI LAGER DELLA DEMOCRAZIA LO STATO CONTINUA A UCCIDERE. SOLIDARIETÀ AI RIVOLTOSI NEI CPR E A TUTTE LE DETENUTE E I DETENUTI
Mentre il centrosinistra che le ha create nel 1998 e rilanciate con Minniti ne riapre altre (e nello stesso tempo non ci risparmia i suoi fiumi di retorica intorno alla giornata della memoria), in tutta Italia le prigioni per senza documenti in attesa di deportazione sono scosse da rivolte che minacciano di provocarne la chiusura come già avvenuto in passato – non certo grazie alle campagne della società civile. A Torino, Roma, Bari, Caltanissetta, Palazzo San Gervasio (Potenza) nell’ultimo anno si sono susseguiti danneggiamenti e incendi che hanno reso inagibili intere sezioni, fughe tentate e fortunatamente in alcuni casi riuscite, atti di autolesionismo, scioperi della fame, episodi di resistenza alle deportazioni.
Nel CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) di Gradisca, riaperto da appena un mese dopo la chiusura nel 2013 in seguito alle rivolte durante una delle quali Abdel Majid El Kodra era morto mentre tentava la fuga – e dopo essere stato dotato di nuove recinzioni e telecamere per renderlo più sicuro (per i carcerieri, ovviamente) – Vakhtang Enukidze, un recluso georgiano, è morto alcuni giorni fa in seguito al pestaggio subìto a più riprese da parte delle forze dell’ordine, come testimoniato dai suoi compagni di reclusione. I giornali, ovviamente, hanno inizialmente parlato di una rissa tra detenuti come causa della morte, mentre diversi reclusi testimoni dei fatti sono stati rimpatriati in tutta fretta e i telefoni sequestrati come nel CPR di Torino per impedire, anche con nuovi pestaggi, la comunicazione con l’esterno.
Notizie di altre morti, per suicidio, mancanza di cure o cause da accertare, continuano a giungere dagli altri CPR e dalle carceri di tutta Italia. Nel 2019 i morti sono stati 93, di cui 53 suicidi.
Dopo Gradisca, in questi giorni ha aperto il CPR di Macomer (Nuoro), realizzato in un ex carcere, e prossima dovrebbe essere la riapertura di quello di Milano. Ogni CPR aperto è un ingranaggio in più per la macchina delle espulsioni, dai rastrellamenti – controlli straordinari – nelle strade e nei parchi delle città, alla deportazione, o, per i più fortunati, al ritorno alla clandestinità dopo una lunga detenzione senza nemmeno la soddisfazione di aver commesso un reato. Ogni sezione di questi lager resa inagibile dalle rivolte contribuisce ad inceppare questa macchina ed è ossigeno per chi è costretto a vivere con il suo fiato sul collo.
A Bolzano, per quelli – tra coloro che per vivere devono arrangiarsi – che non vengono «accompagnati» nei CPR di mezza Italia, l’orizzonte è quello del carcere di via Dante, che ricopre il medesimo ruolo di monito e deposito di reietti. La funzione di questi luoghi è sì la protezione della società: di una società che prevede l’imposizione di condizioni di vita sempre peggiori per tutti, e che ha bisogno di garantirsi di poterle imporre in pace, confinando chi non riesce o non vuole adattarvisi.
Mentre per la cittadinanza bolzanina il motivo di indignazione è la bruttezza della sua facciata, i detenuti di via Dante (che in gran parte si trovano lì per reati contro il patrimonio e legati agli stupefacenti) sono stretti tra le attuali condizioni insostenibili – sovraffollamento, spazi stretti e malsani – e la prospettiva – che al momento pare allontanarsi – di un nuovo carcere privatizzato e confinato in mezzo al nulla, dove il contatto con l’esterno sarebbe ancor più difficile e il controllo più facile. Un carcere “modello” come quello di Spini (TN) con la sua storia di soprusi e suicidi (ma anche la coraggiosa rivolta di un anno fa, per la quale nei prossimi mesi inizierà il processo contro i detenuti individuati come responsabili, oltre 80).
L’ennesimo assassinio di stato non può passare in un silenzio complice. Non possiamo lasciare i reclusi da soli nelle mani degli aguzzini di stato. Nessuna struttura detentiva “umana”, nessuna funzione rieducativa: di questi luoghi infami solo macerie fumanti.
Sabato 1 febbraio dalle 15.00 in piazza Stazione presidio in solidarietà con i rivoltosi nei CPR. Dalle 16.30 sotto le mura (lato Talvera) saluto solidale ai detenuti del carcere di Bolzano
Capodanno sotto le mura – in solidarietà con i detenuti del carcere di Bolzano – martedì 31 dicembre
Saluto solidale ai detenuti del carcere di Bolzano – sabato 2 novembre
Saluto al carcere di Bolzano contro vecchie e nuove galere e in solidarietà con le lotte nei CPR – sabato 28 settembre
Decine di nuove telecamere, continue retate e sgomberi di senzatetto, sempre più sbirri e militari nelle strade, Daspo urbano e leggi securitarie e repressive: in città in cui il controllo si fa ogni giorno più asfissiante, per chi non riesce o non vuole adeguarsi alle condizioni imposte dallo stato e dal capitale gli spazi di libertà si fanno sempre più stretti, e quella del carcere e degli altri luoghi di detenzione una prospettiva con la quale doversi confrontare per molti.
Storie di Gap. Terrorismo urbano e resistenza – presentazione a Bolzano con l’autore Santo Peli – mercoledì 5 giugno
Riportiamo qui sotto un passaggio della prima parte di Storie di Gap. Terrorismo urbano e resistenza di Santo Peli. Il libro sarà presentato – con l’autore – a Bolzano mercoledì 5 giugno dalle 20.00 alla Biblioteca Culture del Mondo in via Macello 50 (qui l’evento fb).
Creare l’atmosfera di guerra, significa in primo luogo impedire che venga accettato un modus vivendi che garantirebbe ai tedeschi un comodo sfruttamento delle risorse, e ai fascisti di accreditarsi come governo legittimo, invece che come un “alleato occupato” […] è dunque indispensabile che fascisti e tedeschi vengano percepiti come esercito occupante, che deve difendersi, vivere asserragliato, a Firenze, Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna. Creare l’atmosfera di guerra è il compito che il Partito comunista affida ai Gap, “gli arditi della guerra di liberazione, i soldati senza divisa, i più audaci, i più rapidi e pronti”, che devono “portare la guerra e la morte in casa del nemico”, attraverso azioni spettacolari, sabotaggi e attentati diretti contro esponenti di un certo rilievo delle milizie fasciste, sedi dei comandi tedeschi, ristoranti e bordelli frequentati dalle truppe di occupazione. Farlo senza suscitare reazioni terroristiche, fucilazione di ostaggi, di detenuti antifascisti, non è possibile. Accettare il ricatto della rappresaglia sui civili, come da subito sostengono tutti i dirigenti della guerra partigiana, significa rinunciare a combattere. Questa considerazione, del tutto condivisibile nella sua ovvietà, non esaurisce però la complessa questione del nesso fra attentati e rappresaglia […] per creare un clima di guerra, per costringerli a mostrare anche nelle città del Centronord il vero volto dell’occupazione, i tedeschi vanno attaccati, subito e duramente, e la rappresaglia è un elemento dolorosamente utile, che serve a bruciare gli spazi di mediazione, i tentennamenti. […] L’urgenza della missione […] è tale che [Carlo Camesasca “Barbisún”, elemento di punta del gappismo milanese] e il suo compagno decidono di entrare in azione benché, in quel momento, le uniche due pistole di cui dispongono siano in riparazione. L’uccisione di due ufficiali tedeschi che passeggiano per piazza Argentina, il 3 novembre 1943, viene portata a termine a colpi di martello e di lima. […] le azioni […] sono fatte, ancor prima che per uno scopo militare, per impressionare, per convincere i titubanti e gli indifferenti che si può e si deve combattere, e per confortare e confermare i propositi dell’esigua minoranza degli abitanti delle città che intendono scendere in lotta. […] Dopo i primi attentati, che si abbattono del tutto inaspettati su uomini e sedi delle istituzioni fasciste e dei comandi tedeschi, cavalli di frisia, reticolati e garitte con sentinelle armate modificano il paesaggio dei centri storici, aggiungono un inusuale arredo urbano che lancia un esplicito messaggio: anche all’interno delle città è in corso una guerra. […] La creazione dei Gap rappresenta dunque, negli ultimi mesi del 1943, l’unico strumento immediatamente utilizzabile per mostrare che la resistenza armata è possibile, anzi è già dispiegata, ben prima che l’organizzazione e la diffusione delle bande partigiane si consolidi. […] Fra l’autunno del 1943 e i primi mesi del 1944, i mesi descritti da Ferruccio Parrri come quelli delle “tremende incertezze”, “la stagione del dubbio, perché non sapevamo se questa volta le radici della guerra per bande avrebbero attechito”, le azioni gappiste svolgono una decisiva funzione di propaganda: sono i loro attacchi a fornire l’esempio che il dominio nazifascista sulle città non è affatto incontrastato.