Archivi categoria: Succede a Bolzano

“Non collaborativi” (a proposito del “lazo” in dotazione alla municipale bolzanina)

Nei giorni scorsi il consiglio comunale di Bolzano ha deciso di avviare, sulla scia di Genova, la sperimentazione da parte della polizia municipale del BolaWrap. Si tratta di un dispositivo prodotto e commercializzato da un’azienda americana, dotato di un puntatore laser di colore verde, che permette di sparare, alla velocità di circa 195 metri al secondo, un laccio in kevlar con ganci metallici alle estremità, che si attorciglia “attorno a parti del corpo che devono essere preferibilmente il tronco, le braccia o le gambe” di un soggetto, immobilizzandolo.

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“Siamo persone, non algoritmi”

Ieri, nell’ambito di una mobilitazione nazionale e nel disinteresse pressoché generale a livello locale, anche a Bolzano alcune decine di rider, perlopiù della piattaforma Deliveroo, sono scesi in piazza per rivendicare condizioni di lavoro umane. In questo caso non si tratta di un modo di dire ma di un’espressione decisamente appropriata: infatti le piattaforme di delivery, alle forme “classiche” di sfruttamento e ricatto (cottimo, paghe da fame, assenza di tutele, precarietà, minacce a chi alza la testa) associano il controllo algoritmico dei lavoratori, governati e monitorati attraverso lo smartphone da un’applicazione – i criteri di funzionamento della quale non sono conoscibili – che decide automaticamente e in tempo reale, in base alle loro performance, alle recensioni – veritiere o no – dei clienti o magari al fatto che qualcuno osi rivendicare migliori condizioni, se, quando e quanto farli lavorare. Un lavoro data-driven, come dovrebbe essere l’intera società nella visione dei Mario Draghi, degli altri sacerdoti della transizione digitale e dei suoi fedeli.

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Assassini

È di qualche giorno fa la notizia della morte, nel CPR di Gradisca, di un altro recluso, un ragazzo albanese. Si tratta della seconda in pochi mesi, dopo quella di Vakhtang Enukidze in seguito al pestaggio subìto da parte degli sbirri lo scorso inverno, appena un mese dopo la riapertura del lager chiuso dalle rivolte del 2013. Un altro recluso è stato ritrovato incosciente. Come nel caso della morte di Vakhtang, i giornali hanno parlato inizialmente di rissa tra “ospiti”, e ai reclusi sarebbero stati sequestrati i cellulari. Successivamente il tiro è stato corretto parlando di abuso di psicofarmaci (ricordiamo che sono innumerevoli le testimonianze sull’ampio uso che di queste sostanze viene fatto per sedare e tenere sotto controllo i reclusi in questi lager), come per i 14 detenuti morti nel corso delle rivolte di marzo nelle carceri. Negli scorsi mesi nel CPR di Gradisca sono continuati pestaggi, atti di autolesionismo, scioperi della fame e tentativi di rivolta, mentre i positivi al coronavirus venivano tenuti in cella con gli altri. Ieri abbiamo appreso dai giornali – perché i familiari del ragazzo hanno dato mandato a un avvocato bolzanino di fare chiarezza sulla sua morte – che era stato deportato a Gradisca dall’Alto Adige:

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Riqualificazione

Questa mattina sono partiti i lavori di abbattimento dei platani secolari di fronte alla stazione sul lato di via Garibaldi, per fare spazio al migliaio (!) di posti macchina del WaltherPark, il centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko, mentre in Germania è in corso una campagna contro gli oltre 5000 licenziamenti previsti nella sua catena di grandi magazzini (giova rammentare che proprio sulla creazione di posti di lavoro, oltre che sull’emergenza degrado nella zona, si è giocata la martellante propaganda a favore del progetto in occasione della consultazione farsa del 2016…). Gli abbattimenti, come quelli già avvenuti in piena emergenza covid di tutti gli altri alberi in quel settore di parco, sono ad opera degli zelanti addetti della ditta bolzanina Arboteam (via Giotto 19), che stamani, di fronte alla resistenza di un gruppetto di giovani ambientalisti, di qualche compagno e di un paio di anziani signori – per fortuna senza la presenza di politicanti dei Verdi come nel caso del flashmob di ieri – hanno pensato bene, in attesa dell’arrivo degli sbirri, di arrangiarsi a spintoni e spingendo col camion rischiando di investire uno dei signori di cui sopra, condendo il tutto con gli immancabili inviti ad andare a lamentarsi “in comune, noi facciamo solo quello che ci dicono”.

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Su tre manifestazioni bolzanine contro il razzismo

Nell’ultima settimana Bolzano ha visto tre diverse manifestazioni in solidarietà con le proteste in corso negli Usa contro gli omicidi razzisti di cui le forze dell’ordine stanno continuando a rendersi responsabili. Già sabato scorso, a un presidio chiamato in piazza Stazione dall’assemblea antifascista cittadina, la partecipazione era stata superiore alle aspettative, soprattutto da parte di giovanissimi con tanta voglia di esprimersi e di diverse persone che il razzismo delle divise lo vivono ogni giorno sulla propria pelle nelle strade delle nostre città e che si sono unite. Tanto che, visto il numero e lo spirito dei presenti, la manifestazione si è conclusa in piazza Walther dopo un breve spostamento spontaneo e non autorizzato. Parole chiare di solidarietà con la rivolta e di rivendicazione dello spirito anche e soprattutto delle forme più radicali nelle quali si è espressa e contro lo stato e la sua polizia che anche in Italia e a Bolzano ogni giorno mettono in atto retate razziste, gestiscono lager e deportano.

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Due giorni – e più – di ordinaria arroganza poliziesca a Bolzano ai tempi dello stato di pandemia

Per il primo maggio una manciata di compagne e compagni bolzanini ha pensato di fare una biciclettata – tutti con mascherine e a debita distanza – per lasciare in alcuni luoghi significativi dei messaggi sul prevedibile intensificarsi dello sfruttamento con la scusa dell’emergenza. Passati – casualmente – dal luogo in cui erano appena terminate le celebrazioni ufficiali con sindaco, sindacati e Anpi e dove era presente un certo numero di sbirri in divisa e non, due macchine della Digos si mettono a seguire il gruppo in bici, prima a distanza, poi sempre più da vicino, filmando, fino all’intervento di una volante che sul tratto di ciclabile fra ponte Resia e ponte Palermo, con una manovra folle senza sirene ferma i compagni, mettendo in pericolo sia loro che gli altri ciclisti di passaggio. Nel giro di pochi secondi arrivano altre tre macchine di sbirri – che creano tra l’altro un bell’assembramento, alla faccia del distanziamento sociale. Decisamente nervosi, anche perché qualcuno non si trattiene dall’apostrofarli come meritano e dal ricordare loro la bella performance del giorno prima – quando hanno atterrato, caricato in macchina, portato in questura e denunciato per resistenza una persona rea di camminare con la mascherina abbassata -, chiedono i documenti e di mostrare il contenuto di zaini e cestini delle bici, con l’effetto ironico in foto. Minacce a chi filma – come nel caso del giorno prima – e inviti ad allontanarsi ai numerosi passanti, mentre qualcuno dei compagni prova a spiegare a chi si ferma incuriosito cosa sta succedendo, poi evidentemente i nostri eroi si considerano soddisfatti della giornata.

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Dentro e fuori

Questo pomeriggio una manciata di solidali si è materializzata – sempre con le dovute precauzioni – sotto le mura del carcere di Bolzano per portare un saluto e scambiare due chiacchiere sulla situazione all’interno – dopo che nei giorni scorsi è arrivata la prima notizia ufficiale della positività di un secondino –, riuscendo poi a dileguarsi prima dell’arrivo degli sbirri. Dalla viva voce dei detenuti si è potuta apprendere una realtà ben diversa da quella riportata dai giornali: le guardie positive sarebbero tre e non una, e il fatto che non siano state a contatto coi detenuti è, come prevedibile, una cazzata. Da dentro confermano che il tampone è stato fatto solo alle guardie; per il momento sembra che nessuno dei detenuti abbia sintomi. Raccontano inoltre che alle persone che stanno continuando a entrare anche per piccoli reati viene semplicemente misurata la febbre. D’altronde, per portare il virus all’interno evidentemente bastano e avanzano i secondini. In compenso ieri è stato annunciato l’avvio della sanificazione di alcuni locali del carcere considerati più a rischio ad opera di un nucleo specializzato di alpini del reggimento Julia di Merano.

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Rompere l’isolamento

Condividiamo il volantino che nelle fessure del coprifuoco sarà distribuito a Bolzano nei prossimi giorni, con l’invito a rompere l’isolamento condividendo la propria sofferenza e la propria rabbia in una situazione che per molti sta velocemente divenendo insostenibile. Nessuno può promettere nulla, ma rompere l’isolamento è l’inizio di una riscossa possibile. I riferimenti per scrivere sono l’indirizzo e-mail bolzanocontro@canaglie.org e la pagina facebook Bolzano Contro. Di seguito il testo.

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Silenzi e grida

Di riflessioni sulla gestione dell’epidemia di coronavirus – sul fatto che a dispetto della retorica ufficiale sia più che mai evidente che ci troviamo tutt’altro che tutti sulla stessa barca, sull’emergenza come esperimento di controllo sociale, sull’introduzione di misure in questo senso che come avvenuto per altre emergenze in passato ci rimarranno in eredità anche a emergenza conclusa, sulla possibilità che questa crisi nasconda opportunità per costruire solidarietà e di attacco – se ne possono e potranno leggere altrove molte, alcune delle quali sicuramente più solide e acute di quelle che potremmo proporre noi in questo momento. Qui ci interessa solo riportare alcuni fatti, apparentemente non collegati tra loro, accaduti in città nell’ultima settimana.

Mercoledì, già in piena emergenza coronavirus, polizia municipale e Seab hanno sgomberato i senzatetto che si erano accampati all’interno del deposito comunale di viale Trento – uno spiazzo recintato sotto il viadotto dell’autostrada e a ridosso della ferrovia. Secondo il Corriere dell’Alto Adige lo sgombero – recentemente richiesto dal consigliere fascista Caruso e che ha incassato il plauso di Andrea Bonazza di CasaPound – si è svolto non senza “proteste” e “tensioni”, comprensibilmente visto che, proprio nei giorni in cui si invita ossessivamente tutti a rimanere a casa, gli occupanti si sono visti distruggere quel poco di riparo che avevano arrangiato senza ovviamente che venisse loro proposta alcuna sistemazione alternativa. La vostra sicurezza è guerra ai poveri, recita una scritta comparsa su uno dei piloni dell’autostrada.

Nei giorni successivi, con la città già deserta e appena in tempo rispetto al blocco dei cantieri non urgenti, sono state abbattute le decine di alberi nella zona di parco Stazione interessata dai lavori per il WaltherPark, che nei prossimi mesi dovrebbero trasformare l’intera zona tra piazza Verdi e la stazione nel centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko. Del resto nel silenzio generale è trascorso anche tutto il periodo dall’approvazione del progetto – con l’inconsistente opposizione consumata nella consultazione popolare farsa del 2016, plebiscito sulla promessa di riqualificare la zona, cioè di eliminare i poveri che la vivono – ad oggi.

Martedì pomeriggio un gruppetto di compagni si è presentato sotto le mura del carcere di via Dante per portare un saluto solidale ai detenuti che come nel resto d’Italia come unica misura contro il contagio si sono visti bloccare i colloqui, mentre rimangono stipati in strutture sovraffollate e malsane con un’assistenza sanitaria pressoché inesistente e la probabilità che il virus venga portato dentro dai secondini. Qualche parola sulle decine di rivolte dei giorni precedenti e sui morti nelle altre carceri, sulla situazione dentro, poi, nell’andar via, i compagni sono fermati e identificati. Ieri (domenica) pomeriggio, in pieno coprifuoco, delirio di tricolori e inni di Mameli dalle finestre e chiamate alle forze dell’ordine per segnalare chi fa una passeggiata – mentre operai e trasportatori devono continuare a lavorare come prima anche in filiere di prodotti tutt’altro che di prima necessità – qualche compagno è riuscito – sempre con le dovute precauzioni – a tornare sotto le mura per un saluto e per condividere un po’ di rabbia. Nel giro di qualche minuto si è creato un bell’assembramento di sbirri, che stavolta hanno fermato e trattenuto per un po’ dei passanti che erano rimasti ad osservare.

Riportiamo di seguito un testo sulla necessità della solidarietà a e tra coloro per i quali la parola sicurezza suona solo come una minaccia anche in questi frangenti, circolato in questi giorni a Bolzano:

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Vivaddio

Anche quest’anno, nel pomeriggio di oggi 28 dicembre – “giornata degli innocenti” per il mondo cristiano, in ricordo dell’episodio biblico della strage di Erode – si è svolta fuori dall’ospedale di Bolzano la lugubre preghiera “per la vita” (cioè contro la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo) promossa dal Bewegung für das Leben, associazione antiabortista con sede a Merano – che nel solo 2018 ha ricevuto contributi pubblici da provincia e comune per circa 30 mila euro – che regolarmente organizza simili schifezze davanti agli ospedali delle due città e che nelle scorse settimane aveva organizzato banchetti a Bolzano insieme a Pro Vita & Famiglia e Movimento Per la Vita. Dopo la messa che quest’anno si è svolta nella chiesa dei Tre santi, una trentina di fondamentalisti cattolici si è mossa in processione, con lumini e cartelli con immagini di feti, verso l’ospedale, dove come l’anno scorso ad attenderla c’era un gruppetto di nemiche e nemici del patriarcato con striscione, volantini e interventi al megafono. Vista l’accoglienza loro riservata l’anno scorso all’ospedale e in occasione della cerimonia conclusiva del Pro Life Tour quest’estate, stavolta hanno pensato bene di venire male accompagnati: diverse macchine di polizia e carabinieri a scortarli per tutto il percorso e Digos a volontà. Comunque, sbirri o no, crediamo possano star certi che qualche amante della libertà a disturbare le loro meschine iniziative ci sarà anche in futuro.

Vedere il nemico

Nel primo pomeriggio di venerdì un piccolo presidio con interventi al megafono e volantinaggio si è svolto davanti alla filiale Unicredit di piazza Walther, a pochi passi da quella di Deutsche Bank in via della Rena, per indicare le responsabilità dei due istituti nel commercio di armi e in particolare nell’aggressione turca contro la guerriglia e le comunità curde. Entrambe sono ai primi posti tra le banche coinvolte nell’esportazione di armi dall’Italia (armi delle quali la Turchia è il terzo acquirente), insieme a Intesa San Paolo, BNL-BNP Paribas e Banca Popolare di Sondrio (tutte presenti con filiali a Bolzano). Più in particolare, entrambe sono coinvolte finanziariamente, insieme ad altre, nella produzione delle armi e dei veicoli da combattimento italiani (Leonardo-Finmeccanica) e tedeschi (come quelli della Rheinmetall, presente anche in Italia) usati da Erdogan contro i curdi. Unicredit, inoltre, è pesantemente coinvolta, con prestiti a società locali e attraverso la partecipata Yapi Kredi – uno dei principali istituti di credito turchi -, nel business legato alla privatizzazione di miniere e centrali a carbone, con tutte le conseguenze del caso su salute e ambiente. A proposito di complicità italiane, giova ricordare la presenza in Turchia, all’interno di una missione NATO di supporto alla difesa aerea turca “per difendere la popolazione dalla minaccia di eventuali lanci di missili dalla Siria“, di una batteria missilistica dell’esercito italiano. Riportiamo di seguito il testo del volantino distribuito a Trento nel corso di un’altra iniziativa contro Unicredit:

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Tempo di infami

Dovendo stare a quanto riportano i giornali, un uomo di 67 anni è morto venerdì nell’ufficio del direttore del supermercato Poli di piazza Matteotti, dove era stato condotto insieme alla compagna per il furto, sembra, di due tubetti di dentifricio e di uno shampoo. L’uomo si sarebbe sentito male dopo l’arrivo degli sbirri chiamati dai responsabili del supermercato. Al di là della tristezza e della rabbia per una morte avvenuta in una situazione del genere – e nella quale, comunque possano essere effettivamente andate le cose, la decisione di fermare l’uomo e di chiamare la polizia sicuramente un ruolo ce l’ha avuto -, e al di là dell’assoluta giustezza di rubare alla grande distribuzione indipendentemente dall’indigenza o meno del ladruncolo e dal fatto che si tratti o meno di prodotti di prima necessità, la notizia non può non richiamare alla memoria la decisione di qualche mese fa proprio del gruppo Poli di premiare il personale che segnala un furto tra gli scaffali con 30 euro lordi in busta paga. D’altronde in tutti i settori ormai il modello di comportamento esemplare è quello del delatore. All’epoca la misura era stata criticata dai sindacati, ovviamente con argomentazioni altrettanto vomitevoli: il compito avrebbe messo a repentaglio l’incolumità dei lavoratori – dietro i furti nei supermercati ci sarebbero infatti non meglio specificate organizzazioni criminali – e avrebbe potuto essere svolto ben più efficacemente da “professionisti del settore”. Più d’uno avrà invece sicuramente dato per buono il piagnisteo di un gruppo della grande distribuzione in continua crescita che lamenta “consistenti perdite economiche” a causa dei furti dagli scaffali.

Pulizia. Anzi, decoro

Tutti entusiasti per l’iniziativa, organizzata da “COOLtour” (La Strada) e Centro Pace del comune (Caritas), che martedì ha visto studenti dell’artistico disegnare con lo street artist “Cibo” uno “strudel destrutturato” su alcune cabine elettriche, “liberandole” dalle “scritte d’odio” (come quelle nella foto?). Ci sarebbe più di qualcosa da dire sull’antifascismo ridotto a vigilanza del politicamente corretto, sulla sterilizzazione della società per pacificarla, sulla street art e sui baracconi “sociali” che ci stanno attorno come strumento a disposizione delle istituzioni e del capitale per normalizzare e valorizzare mentre si colpisce in modo spropositato chi sui muri si prende semplicemente la libertà di dire la sua. Ci limitiamo però a riportare alcune parti dell’articolo uscito sull’Alto Adige, un bel campionario di merda, in crescendo fino all’esplicita esortazione finale alla repressione. Ovviamente sappiamo bene che i virgolettati dell’Alto Adige, come quelli di tutti gli altri giornali, possono essere tutt’altro che fedeli alle parole e al pensiero degli intervistati. D’altra parte, nel momento in cui si decide di parlare coi giornalisti si decide anche di assumersi il rischio. Il contenuto dell’articolo ci sembra comunque significativo.

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Catchy Daspo

Il Daspo urbano approvato la scorsa settimana in consiglio comunale sarà applicato a partire da lunedì, annuncia il sindaco Caramaschi. Le zone interessate sono l’asse parco dei Cappuccini – piazza Verdi – stazione – via Renon, piazza Vittoria, passaggio Hikmet (parco tra viale Europa e via Visitazione), via Rasmo (Casanova) e tutti i mercati rionali. Così l’Alto Adige illustra i dettagli del provvedimento:

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