Solidarietà con gli imputati per il corteo contro le frontiere al Brennero. Venerdì 14 maggio presidio a Bolzano

Il 14 maggio verrà pronunciata la sentenza per 63 compagni accusati di devastazione e saccheggio per il corteo contro le frontiere al Brennero del 7 maggio 2016, per i quali l’accusa ha chiesto oltre 300 anni di carcere. Cinque anni dopo quella giornata, i motivi che ci hanno spinti a scendere in strada sono più validi che mai: alle frontiere della fortezza Europa si continua a morire (l’ultima strage, con 120 persone lasciate annegare nel Mediterraneo, è di poche settimane fa) e la condizione di clandestinizzazione che lo Stato riserva agli stranieri senza documenti è stata estesa all’intera società, con la militarizzazione e il controllo generalizzato dei nostri spostamenti giustificati con l’Emergenza Covid. Non solo: l’accusa di devastazione e saccheggio è l’arma con cui lo Stato sta rispondendo ai più forti momenti di lotta contro la gestione dell’emergenza: la rivolta nelle carceri a marzo e gli scontri contro l’imposizione del coprifuoco ad ottobre dello scorso anno.

Venerdì 14 maggio alle 18.00 presidio solidale a Bolzano, ai prati del Talvera altezza ponte Talvera

Contro la campagna vaccinale. Contro le soluzioni tecnologiche ai disastri della civiltà tecnologica

Il testo che segue è la versione leggermente rivista di un volantino che avrebbe dovuto essere letto e distribuito ieri a Bolzano in occasione di un’iniziativa chiamata dall’assemblea antifascista con l’intento di attualizzare il significato del 25 aprile di fronte al clima soffocante e all’arroganza poliziesca da stato di pandemia, ma la provocazione di un paio di merde di CasaPound ha fatto prendere alla giornata una piega un po’ diversa dal previsto.

Oggi è il 25 aprile. Da domani la libertà di movimento sarà di fatto legata alla vaccinazione: chi avrà obbedito sarà libero di spostarsi fra le regioni, andare al bar, al museo, in piscina e in chissà quali altri luoghi verranno aggiunti all’elenco (magari si deciderà di autorizzare le manifestazioni solo a patto che i partecipanti siano tutti vaccinati… è così inverosimile?), gli altri dovranno farsi testare ogni due giorni – magari a pagamento – e dimostrarlo smartphone alla mano (un inciso, a proposito di 25 aprile e libertà di movimento: nei prossimi giorni il tribunale di Bolzano emetterà la sentenza per i compagni rei di aver partecipato alla manifestazione del 7 maggio 2016 al Brennero contro il muro anti-migranti, per i quali sono stati richiesti complessivamente oltre 300 anni di carcere. Nelle lotte contro le frontiere si è sempre giustamente sottolineato come la libertà di movimento “differenziata” e il doversela meritare prima o poi non avrebbero più riguardato solo i richiedenti asilo…). Siamo già arrivati a quell’obbligo di fatto che in fin dei conti era stato annunciato fuori dai denti sin dall’inizio della campagna militar-vaccinale. Nel frattempo, sulle migliaia di operatori sanitari ex eroi che hanno scelto di non farsi vaccinare pende la minaccia della sospensione senza stipendio (tenete duro! Se nessuno o solo pochi cedessero, chi vi sostituirebbe?) e pressioni di ogni tipo, come quelle che è probabile subiranno i lavoratori di molti altri settori quando arriverà il loro turno e la vaccinazione – formalmente volontaria, ma è già stato assicurato che è legittimo licenziare chi la rifiuta – avverrà magari direttamente in azienda.

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Ambra è stata uccisa dal carcere. Sabato 10 aprile manifestazione e saluto solidale al carcere di Bolzano

Condividiamo la chiamata dell’assemblea bolzanina contro il carcere per questo sabato (10 aprile):

  • ore 15.00 prati del Talvera altezza ponte Talvera presidio in memoria di Ambra, perché di carcere non si debba più morire
  • ore 17.00 circa saluto solidale ai detenuti, sotto le mura del carcere di Bolzano (lato Talvera)

“Domenica 14 marzo nel carcere di Spini di Gardolo è morta una ragazza di Bolzano di appena 28 anni. Si chiamava Ambra Berti. Nel comunicare la sua morte ai famigliari le autorità carcerarie hanno parlato di ‘cause naturali’ nonostante la detenuta fosse stata portata da alcune ore in infermeria, quindi teoricamente sotto controllo del personale sanitario. Nessuno fino ad ora ha spiegato la morte di una donna giovane fisicamente sana, madre di due figli, senza problemi di salute. Di certo sappiamo come – a causa delle misure prese contro la pandemia – nell’ultimo anno le difficoltà e le sofferenze per le detenute ed i detenuti siano state amplificate dalla mancanza di contatto umano con i propri affetti. A ciò si aggiunge il rifiuto dei magistrati di sorveglianza di concedere ad Ambra, come a molti altri detenuti che avrebbero avuto i requisiti per accedervi, misure di pena alternative alla detenzione. Sappiamo anche come ogni morte in carcere sia una morte di carcere e come essa sia strutturale all’istituzione carceraria, dove l’abuso del consumo di psicofarmaci, i suicidi, così come i decessi per la mancanza di cure adeguate e controlli medici, sono all’ordine del giorno. La tragica morte di Ambra è stata del tutto ignorata dai media, complici nel tentativo di far passare in silenzio l’ennesima morte nel carcere di Spini. Rompiamo l’indifferenza. Non si può morire così. Pretendiamo di sapere ciò che è successo ad Ambra. Il silenzio della responsabile sanitaria del carcere di Spini di Gardolo è un silenzio complice e omertoso come quello della direttrice del carcere di Trento e Bolzano, che dopo l’ennesima morte di una persona sotto la sua responsabilità, non ha ancora trovato modo di lasciare alcuna dichiarazione pubblica sull’accaduto. Rompiamo l’isolamento in cui vorrebbero confinare detenuti e detenute.”

“Siamo persone, non algoritmi”

Ieri, nell’ambito di una mobilitazione nazionale e nel disinteresse pressoché generale a livello locale, anche a Bolzano alcune decine di rider, perlopiù della piattaforma Deliveroo, sono scesi in piazza per rivendicare condizioni di lavoro umane. In questo caso non si tratta di un modo di dire ma di un’espressione decisamente appropriata: infatti le piattaforme di delivery, alle forme “classiche” di sfruttamento e ricatto (cottimo, paghe da fame, assenza di tutele, precarietà, minacce a chi alza la testa) associano il controllo algoritmico dei lavoratori, governati e monitorati attraverso lo smartphone da un’applicazione – i criteri di funzionamento della quale non sono conoscibili – che decide automaticamente e in tempo reale, in base alle loro performance, alle recensioni – veritiere o no – dei clienti o magari al fatto che qualcuno osi rivendicare migliori condizioni, se, quando e quanto farli lavorare. Un lavoro data-driven, come dovrebbe essere l’intera società nella visione dei Mario Draghi, degli altri sacerdoti della transizione digitale e dei suoi fedeli.

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Opuscolo: Il mondo a distanza. Su pandemia, 5G, materialità rimossa del digitale e l’orizzonte di un controllo totalitario

Di seguito il testo dell’opuscolo, qui il file pdf stampabile (A5). Come si dice nella premessa, ci si propone semplicemente, attraverso alcune letture, esempi e considerazioni, di suggerire l’urgenza di prendere in mano il tema dell’impatto della tecnologia e in particolare delle tecnologie informatiche – rete 5G in testa – in termini di controllo, e di quel che si cela dietro la loro presunta immaterialità. Per richieste di copie cartacee, osservazioni o altro si può fare riferimento all’indirizzo email bergteufelbz@autistici.org. Il disegno in copertina è di acquadicarciofo.

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Siamo tutti negazionisti

Nel giro di pochi giorni, con l’arrivo delle prime dosi, il discorso pubblico sulla campagna vaccinale ha subìto un’accelerazione che ha portato sempre più politici e commentatori a prospettare e chiedere, chi per il personale sanitario, chi per tutti i dipendenti pubblici e chi per l’intera popolazione, l’obbligatorietà della vaccinazione. Di fronte ai dubbi sulla legittimità dell’imposizione del vaccino, tutti si sono affrettati a sottolineare l’eccezionalità della situazione, che imporrebbe alla libertà individuale di cedere il passo di fronte al ricatto della responsabilità nei confronti della collettività. E comunque, al di là dei dibattiti in punta di diritto, mettetevi il cuore in pace: “l’obbligatorietà sarà nelle cose” (tg di La7), “ci arriveremo in maniera indiretta” (Matteo Bassetti, infettivologo dei più noti). Il riferimento è al “passaporto sanitario” (cioè vaccinale) prospettato da compagnie aeree e istituzioni e del quale si parla non solo per i viaggi internazionali in aereo ma anche per poter accedere a cinema, teatri, eventi e chissà cos’altro. Per il viceministro della salute Sileri, il vaccino dovrà diventare obbligatorio “se uno su tre lo rifiuta”: una perfetta immagine della democrazia, in cui la libertà è inviolabile solo fintanto che è libertà di parola al vento e non si traduce in comportamenti concreti. Avvocati e giuslavoristi come Pietro Ichino (PD, ex PCI, nemico giurato di quel che resta dei diritti dei lavoratori in Italia e sotto scorta per questo) hanno assicurato che per il datore di lavoro è legittimo licenziare chi non si vaccina. L’escalation di pruriti autoritari ha coinciso infatti con la notizia di diversi procedimenti disciplinari avviati contro medici segnalati per aver espresso sui social opinioni non consone sulla pandemia e sul vaccino. Nei commenti giornalistici alla vicenda, “no vax” e “negazionisti” sono ormai spudoratamente utilizzati come sinonimi, a indicare chiunque esprima dubbi o difenda la libertà di scelta (del resto l’aggettivo negazionista ben si presta ad essere usato a mo’ di manganello, come nel caso di chi contrasta le mistificazioni sulle foibe e la storia del confine orientale). L’impressione è che il bersaglio dello stigma che si porta dietro il termine negazionisti, più che coloro i quali rifiutano di riconoscere che evidentemente il covid non è la solita influenza o leggono la pandemia attraverso le lenti di una qualche teoria cospirativa, sia chiunque neghi, fosse anche solamente facendo balenare dei dubbi, che il sistema sociale che ha generato la pandemia e che pretende di gestirla senza il minimo cambio di rotta ma anzi progredendo sia il migliore di quelli possibili. Si noti che, come volevasi dimostrare, sono in particolare i politici e i commentatori di sinistra a mostrare la propria indole sbirresca e progressista, nel senso peggiore che il termine possa avere.

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Assassini

È di qualche giorno fa la notizia della morte, nel CPR di Gradisca, di un altro recluso, un ragazzo albanese. Si tratta della seconda in pochi mesi, dopo quella di Vakhtang Enukidze in seguito al pestaggio subìto da parte degli sbirri lo scorso inverno, appena un mese dopo la riapertura del lager chiuso dalle rivolte del 2013. Un altro recluso è stato ritrovato incosciente. Come nel caso della morte di Vakhtang, i giornali hanno parlato inizialmente di rissa tra “ospiti”, e ai reclusi sarebbero stati sequestrati i cellulari. Successivamente il tiro è stato corretto parlando di abuso di psicofarmaci (ricordiamo che sono innumerevoli le testimonianze sull’ampio uso che di queste sostanze viene fatto per sedare e tenere sotto controllo i reclusi in questi lager), come per i 14 detenuti morti nel corso delle rivolte di marzo nelle carceri. Negli scorsi mesi nel CPR di Gradisca sono continuati pestaggi, atti di autolesionismo, scioperi della fame e tentativi di rivolta, mentre i positivi al coronavirus venivano tenuti in cella con gli altri. Ieri abbiamo appreso dai giornali – perché i familiari del ragazzo hanno dato mandato a un avvocato bolzanino di fare chiarezza sulla sua morte – che era stato deportato a Gradisca dall’Alto Adige:

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Riqualificazione

Questa mattina sono partiti i lavori di abbattimento dei platani secolari di fronte alla stazione sul lato di via Garibaldi, per fare spazio al migliaio (!) di posti macchina del WaltherPark, il centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko, mentre in Germania è in corso una campagna contro gli oltre 5000 licenziamenti previsti nella sua catena di grandi magazzini (giova rammentare che proprio sulla creazione di posti di lavoro, oltre che sull’emergenza degrado nella zona, si è giocata la martellante propaganda a favore del progetto in occasione della consultazione farsa del 2016…). Gli abbattimenti, come quelli già avvenuti in piena emergenza covid di tutti gli altri alberi in quel settore di parco, sono ad opera degli zelanti addetti della ditta bolzanina Arboteam (via Giotto 19), che stamani, di fronte alla resistenza di un gruppetto di giovani ambientalisti, di qualche compagno e di un paio di anziani signori – per fortuna senza la presenza di politicanti dei Verdi come nel caso del flashmob di ieri – hanno pensato bene, in attesa dell’arrivo degli sbirri, di arrangiarsi a spintoni e spingendo col camion rischiando di investire uno dei signori di cui sopra, condendo il tutto con gli immancabili inviti ad andare a lamentarsi “in comune, noi facciamo solo quello che ci dicono”.

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Su tre manifestazioni bolzanine contro il razzismo

Nell’ultima settimana Bolzano ha visto tre diverse manifestazioni in solidarietà con le proteste in corso negli Usa contro gli omicidi razzisti di cui le forze dell’ordine stanno continuando a rendersi responsabili. Già sabato scorso, a un presidio chiamato in piazza Stazione dall’assemblea antifascista cittadina, la partecipazione era stata superiore alle aspettative, soprattutto da parte di giovanissimi con tanta voglia di esprimersi e di diverse persone che il razzismo delle divise lo vivono ogni giorno sulla propria pelle nelle strade delle nostre città e che si sono unite. Tanto che, visto il numero e lo spirito dei presenti, la manifestazione si è conclusa in piazza Walther dopo un breve spostamento spontaneo e non autorizzato. Parole chiare di solidarietà con la rivolta e di rivendicazione dello spirito anche e soprattutto delle forme più radicali nelle quali si è espressa e contro lo stato e la sua polizia che anche in Italia e a Bolzano ogni giorno mettono in atto retate razziste, gestiscono lager e deportano.

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Due giorni – e più – di ordinaria arroganza poliziesca a Bolzano ai tempi dello stato di pandemia

Per il primo maggio una manciata di compagne e compagni bolzanini ha pensato di fare una biciclettata – tutti con mascherine e a debita distanza – per lasciare in alcuni luoghi significativi dei messaggi sul prevedibile intensificarsi dello sfruttamento con la scusa dell’emergenza. Passati – casualmente – dal luogo in cui erano appena terminate le celebrazioni ufficiali con sindaco, sindacati e Anpi e dove era presente un certo numero di sbirri in divisa e non, due macchine della Digos si mettono a seguire il gruppo in bici, prima a distanza, poi sempre più da vicino, filmando, fino all’intervento di una volante che sul tratto di ciclabile fra ponte Resia e ponte Palermo, con una manovra folle senza sirene ferma i compagni, mettendo in pericolo sia loro che gli altri ciclisti di passaggio. Nel giro di pochi secondi arrivano altre tre macchine di sbirri – che creano tra l’altro un bell’assembramento, alla faccia del distanziamento sociale. Decisamente nervosi, anche perché qualcuno non si trattiene dall’apostrofarli come meritano e dal ricordare loro la bella performance del giorno prima – quando hanno atterrato, caricato in macchina, portato in questura e denunciato per resistenza una persona rea di camminare con la mascherina abbassata -, chiedono i documenti e di mostrare il contenuto di zaini e cestini delle bici, con l’effetto ironico in foto. Minacce a chi filma – come nel caso del giorno prima – e inviti ad allontanarsi ai numerosi passanti, mentre qualcuno dei compagni prova a spiegare a chi si ferma incuriosito cosa sta succedendo, poi evidentemente i nostri eroi si considerano soddisfatti della giornata.

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Dentro e fuori

Questo pomeriggio una manciata di solidali si è materializzata – sempre con le dovute precauzioni – sotto le mura del carcere di Bolzano per portare un saluto e scambiare due chiacchiere sulla situazione all’interno – dopo che nei giorni scorsi è arrivata la prima notizia ufficiale della positività di un secondino –, riuscendo poi a dileguarsi prima dell’arrivo degli sbirri. Dalla viva voce dei detenuti si è potuta apprendere una realtà ben diversa da quella riportata dai giornali: le guardie positive sarebbero tre e non una, e il fatto che non siano state a contatto coi detenuti è, come prevedibile, una cazzata. Da dentro confermano che il tampone è stato fatto solo alle guardie; per il momento sembra che nessuno dei detenuti abbia sintomi. Raccontano inoltre che alle persone che stanno continuando a entrare anche per piccoli reati viene semplicemente misurata la febbre. D’altronde, per portare il virus all’interno evidentemente bastano e avanzano i secondini. In compenso ieri è stato annunciato l’avvio della sanificazione di alcuni locali del carcere considerati più a rischio ad opera di un nucleo specializzato di alpini del reggimento Julia di Merano.

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Rompere l’isolamento

Condividiamo il volantino che nelle fessure del coprifuoco sarà distribuito a Bolzano nei prossimi giorni, con l’invito a rompere l’isolamento condividendo la propria sofferenza e la propria rabbia in una situazione che per molti sta velocemente divenendo insostenibile. Nessuno può promettere nulla, ma rompere l’isolamento è l’inizio di una riscossa possibile. I riferimenti per scrivere sono l’indirizzo e-mail bolzanocontro@canaglie.org e la pagina facebook Bolzano Contro. Di seguito il testo.

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Silenzi e grida

Di riflessioni sulla gestione dell’epidemia di coronavirus – sul fatto che a dispetto della retorica ufficiale sia più che mai evidente che ci troviamo tutt’altro che tutti sulla stessa barca, sull’emergenza come esperimento di controllo sociale, sull’introduzione di misure in questo senso che come avvenuto per altre emergenze in passato ci rimarranno in eredità anche a emergenza conclusa, sulla possibilità che questa crisi nasconda opportunità per costruire solidarietà e di attacco – se ne possono e potranno leggere altrove molte, alcune delle quali sicuramente più solide e acute di quelle che potremmo proporre noi in questo momento. Qui ci interessa solo riportare alcuni fatti, apparentemente non collegati tra loro, accaduti in città nell’ultima settimana.

Mercoledì, già in piena emergenza coronavirus, polizia municipale e Seab hanno sgomberato i senzatetto che si erano accampati all’interno del deposito comunale di viale Trento – uno spiazzo recintato sotto il viadotto dell’autostrada e a ridosso della ferrovia. Secondo il Corriere dell’Alto Adige lo sgombero – recentemente richiesto dal consigliere fascista Caruso e che ha incassato il plauso di Andrea Bonazza di CasaPound – si è svolto non senza “proteste” e “tensioni”, comprensibilmente visto che, proprio nei giorni in cui si invita ossessivamente tutti a rimanere a casa, gli occupanti si sono visti distruggere quel poco di riparo che avevano arrangiato senza ovviamente che venisse loro proposta alcuna sistemazione alternativa. La vostra sicurezza è guerra ai poveri, recita una scritta comparsa su uno dei piloni dell’autostrada.

Nei giorni successivi, con la città già deserta e appena in tempo rispetto al blocco dei cantieri non urgenti, sono state abbattute le decine di alberi nella zona di parco Stazione interessata dai lavori per il WaltherPark, che nei prossimi mesi dovrebbero trasformare l’intera zona tra piazza Verdi e la stazione nel centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko. Del resto nel silenzio generale è trascorso anche tutto il periodo dall’approvazione del progetto – con l’inconsistente opposizione consumata nella consultazione popolare farsa del 2016, plebiscito sulla promessa di riqualificare la zona, cioè di eliminare i poveri che la vivono – ad oggi.

Martedì pomeriggio un gruppetto di compagni si è presentato sotto le mura del carcere di via Dante per portare un saluto solidale ai detenuti che come nel resto d’Italia come unica misura contro il contagio si sono visti bloccare i colloqui, mentre rimangono stipati in strutture sovraffollate e malsane con un’assistenza sanitaria pressoché inesistente e la probabilità che il virus venga portato dentro dai secondini. Qualche parola sulle decine di rivolte dei giorni precedenti e sui morti nelle altre carceri, sulla situazione dentro, poi, nell’andar via, i compagni sono fermati e identificati. Ieri (domenica) pomeriggio, in pieno coprifuoco, delirio di tricolori e inni di Mameli dalle finestre e chiamate alle forze dell’ordine per segnalare chi fa una passeggiata – mentre operai e trasportatori devono continuare a lavorare come prima anche in filiere di prodotti tutt’altro che di prima necessità – qualche compagno è riuscito – sempre con le dovute precauzioni – a tornare sotto le mura per un saluto e per condividere un po’ di rabbia. Nel giro di qualche minuto si è creato un bell’assembramento di sbirri, che stavolta hanno fermato e trattenuto per un po’ dei passanti che erano rimasti ad osservare.

Riportiamo di seguito un testo sulla necessità della solidarietà a e tra coloro per i quali la parola sicurezza suona solo come una minaccia anche in questi frangenti, circolato in questi giorni a Bolzano:

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“Ciò per cui ci scandalizziamo rivela sempre chi siamo”: sulle richieste di condanna per il 7 maggio 2016 al Brennero

Lo scorso venerdì, in un tribunale di Bolzano com’è ormai d’abitudine ridicolmente blindato, lo stato, nella persona del PM Andrea Sacchetti, ha chiesto oltre 300 anni complessivi di condanna per devastazione e saccheggio e altri reati per 63 compagni rei di aver partecipato alla manifestazione contro le frontiere del 7 maggio 2016 al Brennero. Le singole condanne arrivano fino a 10 anni (!), già ridotte di un terzo per via della scelta del rito abbreviato. La sentenza dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. Pubblichiamo di seguito il testo di un volantino scritto dopo le richieste di condanna e uscito in questi giorni a Bolzano, insieme ad alcune parti del testo di indizione di quella manifestazione e al comunicato uscito nei giorni immediatamente successivi, per ricordare le motivazioni e lo spirito di quella giornata. Per un’analisi più dettagliata di questo ennesimo attacco repressivo rimandiamo a questa intervista a un compagno su Radio Blackout.

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Presidio in solidarietà con i rivoltosi nei CPR e saluto al carcere di Bolzano – sabato 1 febbraio

NEI LAGER DELLA DEMOCRAZIA LO STATO CONTINUA A UCCIDERE. SOLIDARIETÀ AI RIVOLTOSI NEI CPR E A TUTTE LE DETENUTE E I DETENUTI

Mentre il centrosinistra che le ha create nel 1998 e rilanciate con Minniti ne riapre altre (e nello stesso tempo non ci risparmia i suoi fiumi di retorica intorno alla giornata della memoria), in tutta Italia le prigioni per senza documenti in attesa di deportazione sono scosse da rivolte che minacciano di provocarne la chiusura come già avvenuto in passato – non certo grazie alle campagne della società civile. A Torino, Roma, Bari, Caltanissetta, Palazzo San Gervasio (Potenza) nell’ultimo anno si sono susseguiti danneggiamenti e incendi che hanno reso inagibili intere sezioni, fughe tentate e fortunatamente in alcuni casi riuscite, atti di autolesionismo, scioperi della fame, episodi di resistenza alle deportazioni.

Nel CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) di Gradisca, riaperto da appena un mese dopo la chiusura nel 2013 in seguito alle rivolte durante una delle quali Abdel Majid El Kodra era morto mentre tentava la fuga – e dopo essere stato dotato di nuove recinzioni e telecamere per renderlo più sicuro (per i carcerieri, ovviamente) – Vakhtang Enukidze, un recluso georgiano, è morto alcuni giorni fa in seguito al pestaggio subìto a più riprese da parte delle forze dell’ordine, come testimoniato dai suoi compagni di reclusione. I giornali, ovviamente, hanno inizialmente parlato di una rissa tra detenuti come causa della morte, mentre diversi reclusi testimoni dei fatti sono stati rimpatriati in tutta fretta e i telefoni sequestrati come nel CPR di Torino per impedire, anche con nuovi pestaggi, la comunicazione con l’esterno.

Notizie di altre morti, per suicidio, mancanza di cure o cause da accertare, continuano a giungere dagli altri CPR e dalle carceri di tutta Italia. Nel 2019 i morti sono stati 93, di cui 53 suicidi.

Dopo Gradisca, in questi giorni ha aperto il CPR di Macomer (Nuoro), realizzato in un ex carcere, e prossima dovrebbe essere la riapertura di quello di Milano. Ogni CPR aperto è un ingranaggio in più per la macchina delle espulsioni, dai rastrellamenti – controlli straordinari – nelle strade e nei parchi delle città, alla deportazione, o, per i più fortunati, al ritorno alla clandestinità dopo una lunga detenzione senza nemmeno la soddisfazione di aver commesso un reato. Ogni sezione di questi lager resa inagibile dalle rivolte contribuisce ad inceppare questa macchina ed è ossigeno per chi è costretto a vivere con il suo fiato sul collo.

A Bolzano, per quelli – tra coloro che per vivere devono arrangiarsi – che non vengono «accompagnati» nei CPR di mezza Italia, l’orizzonte è quello del carcere di via Dante, che ricopre il medesimo ruolo di monito e deposito di reietti. La funzione di questi luoghi è sì la protezione della società: di una società che prevede l’imposizione di condizioni di vita sempre peggiori per tutti, e che ha bisogno di garantirsi di poterle imporre in pace, confinando chi non riesce o non vuole adattarvisi.

Mentre per la cittadinanza bolzanina il motivo di indignazione è la bruttezza della sua facciata, i detenuti di via Dante (che in gran parte si trovano lì per reati contro il patrimonio e legati agli stupefacenti) sono stretti tra le attuali condizioni insostenibili – sovraffollamento, spazi stretti e malsani – e la prospettiva – che al momento pare allontanarsi – di un nuovo carcere privatizzato e confinato in mezzo al nulla, dove il contatto con l’esterno sarebbe ancor più difficile e il controllo più facile. Un carcere “modello” come quello di Spini (TN) con la sua storia di soprusi e suicidi (ma anche la coraggiosa rivolta di un anno fa, per la quale nei prossimi mesi inizierà il processo contro i detenuti individuati come responsabili, oltre 80).

L’ennesimo assassinio di stato non può passare in un silenzio complice. Non possiamo lasciare i reclusi da soli nelle mani degli aguzzini di stato. Nessuna struttura detentiva “umana”, nessuna funzione rieducativa: di questi luoghi infami solo macerie fumanti.

Sabato 1 febbraio dalle 15.00 in piazza Stazione presidio in solidarietà con i rivoltosi nei CPR. Dalle 16.30 sotto le mura (lato Talvera) saluto solidale ai detenuti del carcere di Bolzano

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Vivaddio

Anche quest’anno, nel pomeriggio di oggi 28 dicembre – “giornata degli innocenti” per il mondo cristiano, in ricordo dell’episodio biblico della strage di Erode – si è svolta fuori dall’ospedale di Bolzano la lugubre preghiera “per la vita” (cioè contro la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo) promossa dal Bewegung für das Leben, associazione antiabortista con sede a Merano – che nel solo 2018 ha ricevuto contributi pubblici da provincia e comune per circa 30 mila euro – che regolarmente organizza simili schifezze davanti agli ospedali delle due città e che nelle scorse settimane aveva organizzato banchetti a Bolzano insieme a Pro Vita & Famiglia e Movimento Per la Vita. Dopo la messa che quest’anno si è svolta nella chiesa dei Tre santi, una trentina di fondamentalisti cattolici si è mossa in processione, con lumini e cartelli con immagini di feti, verso l’ospedale, dove come l’anno scorso ad attenderla c’era un gruppetto di nemiche e nemici del patriarcato con striscione, volantini e interventi al megafono. Vista l’accoglienza loro riservata l’anno scorso all’ospedale e in occasione della cerimonia conclusiva del Pro Life Tour quest’estate, stavolta hanno pensato bene di venire male accompagnati: diverse macchine di polizia e carabinieri a scortarli per tutto il percorso e Digos a volontà. Comunque, sbirri o no, crediamo possano star certi che qualche amante della libertà a disturbare le loro meschine iniziative ci sarà anche in futuro.

Vedere il nemico

Nel primo pomeriggio di venerdì un piccolo presidio con interventi al megafono e volantinaggio si è svolto davanti alla filiale Unicredit di piazza Walther, a pochi passi da quella di Deutsche Bank in via della Rena, per indicare le responsabilità dei due istituti nel commercio di armi e in particolare nell’aggressione turca contro la guerriglia e le comunità curde. Entrambe sono ai primi posti tra le banche coinvolte nell’esportazione di armi dall’Italia (armi delle quali la Turchia è il terzo acquirente), insieme a Intesa San Paolo, BNL-BNP Paribas e Banca Popolare di Sondrio (tutte presenti con filiali a Bolzano). Più in particolare, entrambe sono coinvolte finanziariamente, insieme ad altre, nella produzione delle armi e dei veicoli da combattimento italiani (Leonardo-Finmeccanica) e tedeschi (come quelli della Rheinmetall, presente anche in Italia) usati da Erdogan contro i curdi. Unicredit, inoltre, è pesantemente coinvolta, con prestiti a società locali e attraverso la partecipata Yapi Kredi – uno dei principali istituti di credito turchi -, nel business legato alla privatizzazione di miniere e centrali a carbone, con tutte le conseguenze del caso su salute e ambiente. A proposito di complicità italiane, giova ricordare la presenza in Turchia, all’interno di una missione NATO di supporto alla difesa aerea turca “per difendere la popolazione dalla minaccia di eventuali lanci di missili dalla Siria“, di una batteria missilistica dell’esercito italiano. Riportiamo di seguito il testo del volantino distribuito a Trento nel corso di un’altra iniziativa contro Unicredit:

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Tempo di infami

Dovendo stare a quanto riportano i giornali, un uomo di 67 anni è morto venerdì nell’ufficio del direttore del supermercato Poli di piazza Matteotti, dove era stato condotto insieme alla compagna per il furto, sembra, di due tubetti di dentifricio e di uno shampoo. L’uomo si sarebbe sentito male dopo l’arrivo degli sbirri chiamati dai responsabili del supermercato. Al di là della tristezza e della rabbia per una morte avvenuta in una situazione del genere – e nella quale, comunque possano essere effettivamente andate le cose, la decisione di fermare l’uomo e di chiamare la polizia sicuramente un ruolo ce l’ha avuto -, e al di là dell’assoluta giustezza di rubare alla grande distribuzione indipendentemente dall’indigenza o meno del ladruncolo e dal fatto che si tratti o meno di prodotti di prima necessità, la notizia non può non richiamare alla memoria la decisione di qualche mese fa proprio del gruppo Poli di premiare il personale che segnala un furto tra gli scaffali con 30 euro lordi in busta paga. D’altronde in tutti i settori ormai il modello di comportamento esemplare è quello del delatore. All’epoca la misura era stata criticata dai sindacati, ovviamente con argomentazioni altrettanto vomitevoli: il compito avrebbe messo a repentaglio l’incolumità dei lavoratori – dietro i furti nei supermercati ci sarebbero infatti non meglio specificate organizzazioni criminali – e avrebbe potuto essere svolto ben più efficacemente da “professionisti del settore”. Più d’uno avrà invece sicuramente dato per buono il piagnisteo di un gruppo della grande distribuzione in continua crescita che lamenta “consistenti perdite economiche” a causa dei furti dagli scaffali.

"Costruire è facile, distruggere al contrario molto difficile" (Günther Anders)